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Turandot: la Pricipessa di Ghiaccio Rivive al Teatro Regio di Torino

Creato il 13 febbraio 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Anna Maria Cantarella 

Davanti a Turandot, ultima opera di Giacomo Puccini non terminata a causa della morte del compositore, è difficile non rimanere straniti. La forza prorompente del tessuto orchestrale e tutta la maestosità della messa in scena non bastano ad attenuare la sensazione di incompiuto, quell’impressione che si prova quando una storia avvincente si interrompe sul più bello, proprio quando saresti sul punto di scoprirne il senso. L’incompiutezza è per l’appunto quello che rende così affascinante quest’ultimo lavoro di Puccini ed è al tempo stesso la sua forza e il suo più grande limite. Il tempo delle favole è il periodo in cui si svolge l’azione sulla scena. A Pechino la principessa Turandot è decisa a sposare l’uomo che riuscirà a risolvere tre impossibili enigmi. Un solo errore e il pretendente subirà la punizione: la morte. Molti hanno tentato l’impresa ma nessuno c’è mai riuscito; nessuno eccetto Calaf, il principe ignoto che incrocia solo con uno sguardo il volto di Turandot e ne rimane inspiegabilmente affascinato, al punto di decidere di rischiare la vita. Al suo fianco una folla, a tratti amichevole, a tratti violenta ed inferocita, il padre e la giovane schiava Liù che cercano di dissuaderlo dall’insano proposito. Niente però può più cambiare la decisione di Calaf. Il suo cuore ormai appartiene a Turandot e per lei sfiderà la sorte, risolverà gli enigmi e alla fine riuscirà a tenere nascosto il suo nome, giungendo così alla lieta conclusione: Turandot si innamorerà di lui e accetterà di sposarlo.

Turandot: la Pricipessa di Ghiaccio Rivive al Teatro Regio di Torino

Strano come in una storia che ha per tema fondamentale l’amore, di questo sentimento emergano aspetti tutt’altro che rasserenanti. Non è la passione, la dolcezza o l’abbandono alle sensazioni che respiriamo tra le righe; è piuttosto un’ostinazione perversa, una rigida convinzione che non lascia spazio ai consigli quella che anima il cuore di Calaf. Se il gelo di Turandot è giustificato dal proposito di vendicare il triste destino della sua antenata, violentata e poi uccisa, la cocciuta testardaggine di Calaf non ha scuse ed è tale da non permettergli di accorgersi né della folla che lo avverte del pericolo né soprattutto dell’affetto di chi veramanente gli vuole bene, cioè la dolce schiava Liù che per lui, per nascondere il segreto del suo nome, si uccide. Ed è proprio a questo punto che l’opera arriva al suo àcme. Esattamente nel punto in cui Puccini la lasciò incompiuta. Non fu solo la morte ad impedire al compositore di arrivare ad un convincente scioglimento del finale. Puccini non era ancora riuscito a trovare una conclusione coerente dal punto di vista drammaturgico e per questo confessò di sentirsi «un’anima perduta nello spazio nebbioso». Certo era difficile trovare una soluzione convincente: troppo candido e sincero era l’amore di Liù perchè la sua morte potesse essere superata facilmente come invece appare sul finale scritto da Franco Alfano. Come può un vero amore nascere dopo così grandi atrocità? E come può, Calaf, amare colei che con freddezza ha fatto decapitare decine di principi, e ha praticamente costretto Liù al suicidio? Il finale di Turandot non dà risposta ai quesiti e resta irrisolto, seppure in scena i due protagonisti convolano a nozze.

Turandot: la Pricipessa di Ghiaccio Rivive al Teatro Regio di Torino

L’allestimento di Turandot del Teatro Regio di Torino, proposto con finale di Franco Alfano e con la regia di Giuliano Montaldo e la direzione di Pinchas Steinberg, è maestoso ma tradizionale. Alte e imponenti colonne incorniciano la scena che al centro ospita una scalinata a due rampe. La Pechino del tempo delle favole è rievocata con successo negli abiti, nei colori, nelle bandiere e nell’ideogramma sul mantello di Turandot, mentre l’attenzione degli spettatori si concentra al centro della scena, sul gong che costituisce un punto di attrazione sia per il pubblico che per i protagonisti sul palco. Non sono molti i colori in scena, eccezion fatta per i mantelli brillanti di Ping, Pang e Pong, ma avvolgenti sono i giochi delle luci e le orecchie risuonano ancora della grandiosità dell’orchestra, della battaglia delle percussioni, a volte così imponenti che la voce del protagonista maschile, Roberto Aronica, è costretta a mantenersi a un volume elevato. Difficile riuscire a tracciare un quadro esatto delle performance degli artisti in scena. Del resto abbiamo assistito a una prova generale, situazione in cui è normale notare piccole imprecisioni. Ci sembra di capire che mentre per i personaggi secondari è stato più semplice sostenere la prova senza troppe difficoltà, per Calaf, che del resto sopporta gran parte del peso dell’opera, è stato più complesso. Il tenore Roberto Aronica ha – sottolineiamo giustamente – scelto un profilo più basso rispetto alle sue reali potenzialità, giustificato certamente dalla volontà di preservare la voce per la prima dello spettacolo. Del resto nella Turandot, nonostante il personaggio eponimo sia il soprano, il vero protagonista sempre presente in scena è Calaf mentre Turandot canta solo a partire dal secondo atto.

Turandot: la Pricipessa di Ghiaccio Rivive al Teatro Regio di Torino

La determinazione e l’ostinazione sono gli unici modi possibili per recitare il personaggio di Calaf e Roberto Aronica sembra averlo compreso alla perfezione. È, fisicamente e non solo vocalmente, implacabile e severo e il suo personaggio è riuscito non solo dal punto di vista musicale, ma anche dal punto di vista teatrale, merito del regista Giuliano Montaldo che è stato in grado di dare la giusta importanza non solo al canto ma anche alla recitazione. In Nessun dorma Aronica riesce perfino a strappare sonori applausi al pubblico, che è talmente affezionato alla famosa romanza che non si accorge del fatto che il tenore, per preservare la voce, ha solo abbozzato l’acuto finale. Ben assortiti Calaf e Turandot, interpretata da Johanna Rusanen. Il soprano è una giusta compagna, determinata e adeguatamente gelida nella scena dell’annuncio degli enigmi, abbastanza efficace anche nel rendere la sensibilità femminile, le paure e la passionalità che si nascondono tra le pieghe del mantello di Turandot e che si svelano solo sul finale. Assolutamente non secondari i personaggi dei consiglieri Ping, Pang e Pong (Donato Di Gioia, Luca Casalin, Saverio Fiore), che cantano – e recitano – con grande maestria ma senza cedere al macchiettismo, e riescono a rendere l’aspetto di comicità insito nei tre personaggi senza enfatizzare le movenze ridicole. Anche Giacomo Prestia interpreta un Timur dolce e commovente, sia nelle scene che iniziali che al momento della morte di Liù. A Liù e alla sua interprete, Carmen Giannattasio, va il nostro più grande apprezzamento per aver saputo suscitare partecipazione emotiva e aver addolcito l’atmosfera di gelo che si respira durante tutta l’opera.

Turandot: la Pricipessa di Ghiaccio Rivive al Teatro Regio di Torino

Liù, l’unica vera portatrice di sentimenti autentici, ha il compito di mostrare il vero amore che non ha paura delle conseguenze e che con il suo sacrificio dà una svolta all’azione, e Giannattasio ci è riuscita alla perfezione, con la sua voce dal timbro dolce ma certamente non esile, nonostante qualche piccola sbavatura che siamo certi sia da imputare all’atmosfera rilassata della prova generale. Ogni cosa, nella direzione di Pinchas Steinberg, è equilibrata. Ogni episodio è punteggiato di vivaci colori orchestrali in cui emergono la marimba, lo xilofono, i gong grandi e piccoli e il glockenspiel. In particolare sulle note della melodia pentatonica Mò Lì Huā (Fiore di gelsomino), il maestro Steinberg, l’orchestra e il coro di voci bianche riescono a dipingere una scena meravigliosamente serena, durante la quale lo spettatore resta affascinato dallo spettacolo della luna che sorge, nonostante quella stessa luna risorta sia il segnale per la prossima esecuzione. Quello che resta a chi guarda è l’impressione che ci siano opere a cui il pubblico è talmente affezionato che è difficile giudicarle senza tenere conto di questo affetto. Turandot è l’esempio lampante di questo strano meccanismo per cui, l’opera che più di tutte mostra il carattere irreversibile della crisi del teatro operistico, diventa la risposta a questa crisi nel momento in cui si imprime nell’immaginario collettivo come un capolavoro. È evidente che nella storia della principessa di ghiaccio gli enigmi sono più di tre.

Per le immagini inserite in questo articolo si ringrazia il Teatro Regio di Torino

Foto Ramella&Giannese © Teatro Regio Torino

Turandot: la Pricipessa di Ghiaccio Rivive al Teatro Regio di Torino


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