Amnesty International è intervenuta dopo che nei giorni scorsi erano circolate notizie secondo le quali i detenuti in sciopero della fame nelle carceri di Silivri e Sakran erano stati posti in isolamento e che in quella di Tekirdag le guardie carcerarie avrebbero sottoposto a maltrattamenti quelli che stanno prendendo parte alla protesta. Secondo le denunce, le autorità penitenziarie avrebbero inoltre, in alcuni casi, limitato l'accesso all'acqua, allo zucchero e alle vitamine con cui i prigionieri si garantiscono la sopravvivenza. Lo sciopero della fame, ha ricordato Amnesty, è una protesta pacifica e le autorità turche devono rispettare il diritto alla libertà d'espressione dei prigionieri, compreso quelli di avvalersi di questa forma di lotta. Per questo chiede che non vengano prese sanzioni nei confronti dei detenuti in sciopero della fame e che sia rispettato il divieto assoluto di tortura e di altri maltrattamenti. Amnesty chiede inoltre che i detenuti abbiano accesso a cure mediche qualificate e che siano avviate indagini approfondite ed imparziali su punizioni e maltrattamenti che sarebbero stati inflitti ai detenuti in sciopero della fame.
Il governo turco, da parte sua, ha chiesti ai detenuti curdi di interrompere la loro protesta, senza però indicare l'intenzione di discutere le loro richieste. Il ministro della Giustizia, Sadullah Ergin, si è recato in visita al carcere di Sincan, alla periferia di Ankara, incontrando i detenuti in sciopero della fame. Il ministro ha poi dichiarato che il governo è al lavoro per "fare in modo che questo genere di azioni non siano più necessarie in Turchia", ma senza spiegare se intende rispondere alle rivendicazioni. Intanto, sabato scorso si sono aggravate le condizioni di quattro detenute in sciopero della fame da oltre un mese e mezzo: il loro corpo comincia a rifiutare ora anche i liquidi. Nonostante ciò hanno dichiarato di voler continuare la protesta, una scelta che potrebbe diventare senza ritorno. Per questo intellettuali, scrittori e attori come Sezen Aksu, Yasar Kemal, Rakel Dink e Ipek Çalisar chiedono alle autorità di rispondere prima che sia troppo tardi.