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Turchia e Israele potrebbero riconciliarsi dopo anni di tensione

Creato il 12 maggio 2014 da Conflittiestrategie

 

[Traduzione di Redazione da: Turkey and Israel May Reconcile After Years of Tension | Stratfor ]

Riassunto

Il progetto di un nuovo gasdotto potrebbe aiutare la Turchia e Israele a rinnovare la loro collaborazione dopo anni di tensione. Il 23 marzo, il quotidiano finanziario israeliano Globes ha annunciato che più di 10 imprese hanno presentato offerte per la gara d’appalto di un gasdotto sottomarino che dovrebbe esportare gas naturale dal giacimento Leviatan al largo di Israele. a sud della Turchia. La dichiarazione è arrivata poco prima che [il quotidiano turco] Today’s Zaman riferisse di un incontro tra l’inviato personale del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per l’energia e le questioni di sicurezza, David Meidan, e il capo dell’Organizzazione di Informazione Nazionale turco, Hakan Fidan, durante il quale entrambe le parti avrebbero convenuto di lavorare per riaprire le ambasciate e normalizzare i rapporti, che erano rimasti molto tesi dall‘incidente della flottilla nel 2010 che fece diverse vittime tra i turchi.

Israele e Turchia attualmente si ritrovano isolati nella regione, e così entrambi i paesi hanno un motivo per ricominciare a lavorare insieme, soprattutto ora che il partito turco al governo ha consolidato il suo potere nelle recenti elezioni e si sente più al sicuro da reazioni negative interne. Mentre diversi problemi tecnici e ostacoli politici rendono improbabile che il gasdotto Leviatan verrà realizzato in tempi brevi, esso potrebbe essere usato come trampolino di lancio per normalizzare le relazioni diplomatiche turco-israeliane e favorire gli investimenti bilaterali e la cooperazione dei servizi di intelligence.

Analisi

In apparenza, i rapporti tra il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, o AKP, del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan e il partito Likud di Netanyahu sono stati estremamente tesi dall’incidente di Mavi Marmara del maggio 2010, come hanno dimostrato retoriche dichiarazioni di fuoco, il richiamo degli ambasciatori e il congelamento di contratti nel settore della difesa per miliardi di dollari. Durante le prime fasi della rottura diplomatica, la Turchia ha cercato di sfruttare al meglio la primavera araba, prevedendo che una forte presa di posizione anti-israeliana avrebbe assicurato la leadership dell’AKP nel momento in cui le forze politiche islamiste nella regione avrebbero preso slancio. Tuttavia, tre anni più tardi i partiti islamici che la Turchia ha corteggiato in Egitto e altrove. sono stati in larga parte messi da parte o schiacciati, e la strategia generale di Ankara è in gran parte fallita.

Al di fuori del Mediterraneo Orientale, le tensioni con Baghdad continuano a ribollire per i tentativi di Erdogan di concludere accordi energetici separati con il Governo Regionale del Kurdistan, mentre la prospettiva di un riavvicinamento tra Stati Uniti e Iran potrebbe aumentare l’influenza regionale degli sciiti. Più di recente, l’annessione della Crimea da parte della Russia ha enfatizzato la percezione di vulnerabilità di Ankara nei confronti di Mosca, considerata anche la fortissima dipendenza della Turchia dalle forniture energetiche russe. E sul fronte interno, il processo di pace di Erdogan con i curdi ha subito una battuta d’arresto, l’economia nazionale ristagna anche a causa della riduzione dell’acquisto di fondi della Federal Reserve statunitense, e il partito di governo AKP s’è trovato coinvolto in una serie di scandali oltre a essersi separato con amarezza dagli ex alleati rappresentati dal movimento di Fethullah Gulen. Per il momento, le politiche di Erdogan hanno lasciato il suo paese isolato in un contesto regionale in rapida evoluzione.

Nonostante questi contrattempi, Ankara non rimane senza opzioni. Mentre la tradizionale cooperazione della Turchia con Israele ha certamente sofferto nella percezione dell’opinione pubblica, i legami commerciali tra i due paesi sono a dire il vero aumentati nel corso degli ultimi anni, raddoppiando quasi in valore dal 2009 al 2013. Con un volume totale degli scambi durante questo periodo che è passato da 2,6 miliardi di dollari a 5,1 miliardi di dollari, il commercio privato è prosperato nonostante la spaccatura politica. L’anno scorso ci sono anche state fughe di notizie relative a incontri tra figure di alto livello dei servizi segreti dei due paesi che continuano con discrezione a collaborare su questioni regionali come l’instabilità siriana e le attività degli jihadisti.

Continuano a esserci dei disaccordi sui dettagli finali di un accordo di compensazione per l’episodio di Mavi Marmara, sebbene nessuna delle due parti sembra volere che la risoluzione di tale contesa comprometta la discussione di altre questioni. Infatti, secondo un comunicato dello scorso 27 marzo, il ministro della Difesa israeliano Moshe Yaalon ha accettato l’invio di materiali da costruzione ed apparecchiature elettriche nella Striscia di Gaza per aiutare a costruire un ospedale sponsorizzato dalla Turchia; secondo anonimi funzionari israeliani tale decisione è stata influenzata dagli sforzi di riconciliazione con la Turchia. Sembra chiaro che entrambe le parti non hanno mai voluto troncare i rapporti completamente, e hanno prolungato la disputa su Mavi Marmara principalmente per motivi di politica interna. E con Erdogan relativamente sicuro per il momento, dopo la vittoria elettorale dell’AKP alla fine di marzo, le relazioni turco-israeliane possono tornare alla normalità nel prossimo futuro, anche grazie all’ambiziosa iniziativa del nuovo gasdotto.

Ostacoli alla Pipeline

Come conseguenza della sua mancanza di relazioni con Israele e Cipro, la Turchia si è trovata estromessa dallo sfruttamento congiunto con loro dell’enorme giacimento di gas naturale offshore scoperto nel Mediterraneo orientale. Il sistema di gasdotti proposto è stato salutato come l’ingresso della Turchia nel gioco strategico dell’energia. I 450 chilometri (280 miglia) di condotte sottomarine rappresenterebbero il più ambizioso gasdotto nativo del Medio Oriente, estendendosi dal giacimento Leviatan al largo di Israele, 130 chilometri a ovest di Haifa, al Porto turco di Ceyhan. Il gasdotto sarebbe gestito da una nave-piattaforma galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico (FPSO) prima di dirigersi a nord est a una profondità media di 2.000 metri (6.500 piedi) lungo la costa cipriota. Con una capacità di 16 miliardi di metri cubi, l’iniziativa è stata elogiata come mezzo per permettere alla Turchia (ed eventualmente all’Europa) di diversificare i propri approvvigionamenti energetici lontano da Mosca.

Secondo la holding company Turcas Petrol, una delle aziende che ha presentato un’offerta, il costo totale del progetto sarebbe di circa 2,25 miliardi dollari. In sostanza, il gasdotto Leviatan diventerebbe operativo a profondità paragonabili solo a quelle di grandi iniziative internazionali come Medgaz, South Stream e Blue Stream, e il costo sostenuto per la produzione di energia sarebbe tra i più alti al mondo. Ciò a sua volta richiederebbe il coinvolgimento di una società energetica internazionale di grande esperienza per sviluppare le necessarie infrastrutture.

Ancora, gli ostacoli tecnici sono aggravati da vincoli politici; solo poche grande società sarebbero disposte ad assumere i rischi di un simile progetto nell’ambiente politicamente caldo del Mediterraneo orientale. Il percorso ideale per un gasdotto turco-israeliano si muoverebbe lungo la costa levantina, o onshore o attraverso il fondale meno profondo, e in entrambi i casi i costi operativi e di costruzione si ridurrebbero significativamente. Tuttavia, ciò richiederebbe al gasdotto di attraversare il territorio libanese e siriano, dove i rischi politici e di sicurezza porterebbero a frequenti interruzioni. Damasco e Beirut hanno anche espresso aperta ostilità a questa opzione. Ciò lascia come unico percorso alternativo l’attraversamento delle acque cipriote, che richiede l’approvazione di Nicosia – e, quindi , un riavvicinamento diplomatico turco-cipriota. Cipro ha ripetutamente detto che non avrebbe firmato alcun accordo sul gasdotto fintanto che la Turchia, che è l’unico sostenitore internazionale della Repubblica separatista turca di Cipro del Nord, non avesse riconosciuta l’esistenza della Repubblica di Cipro e posto fine alla divisione quarantennale dell’isola. Risolvere uno dei conflitti più intrattabili e polarizzanti della regione richiederà una buona dose di tempo e di energia, cosa che mette in dubbio, nella migliore delle ipotesi, il 2017 come data prevista per l’operatività del gasdotto.

I potenziali offerenti del progetto

Anche se gli ostacoli non mancano , il progetto ha raccolto molto interesse. Delle oltre 10 aziende che hanno presentato un’offerta per il progetto, a quanto si dice due sono turche: Zorlu Group e Turcas Petrol (quest’ultima in un’offerta congiunta con l’azienda pubblica di elettricità tedesca RWE). L’offerta di Zorlu è particolarmente interessante: guidata dal presidente miliardario Ahmet Nazif Zorlu, il gruppo societario è uno dei più grandi in Turchia ed è noto per avere stretti legami politici con l’AKP, in gran parte per garantirsi contratti commerciali preferenziali. Subito dopo che l’AKP è salito al potere, la Zorlu Holding ha approfittato della privatizzazione di terreni pubblici per costruire l’imponente Zorlu Center, spesa 2,5 miliardi di dollari, il più importante progetto edilizio sulla sponda europea di Istanbul. In realtà, Zorlu era tra i soggetti coinvolti nell’inchiesta per corruzione il 17 dicembre 2013, ed è stato accusato di reati e violazioni sistematiche per far ottenere contratti alla sua società.

L’azienda mantiene grandi progetti di investimento in Israele ed è fortemente impegnata nel settore delle centrali elettriche. È da notare che le tensioni tra Israele e Turchia non hanno influenzato le operazioni del gruppo nel settore energetico in Israele, dove esso continua ad espandere la propria presenza. Infatti, nel 2012 Zorlu ha investito 277 milioni di dollari negli impianti per il gas naturale di Ashdod e Ramat Negev, ricevendo anche consistenti prestiti dagli investitori israeliani. Se Ankara volesse favorire la riconciliazione attraverso la cooperazione energetica, avrebbe senso sfruttare una società nota per avere stretti legami con la leadership dell’AKP, in particolare una con una buona dose di influenza in Israele.

Turchia e Israele sembrano pronti ad approfittare dell’opportunità per ricucire i rapporti. Erdogan ha probabilmente giudicato la sua ambiziosa strategia regionale un fallimento e sembra pronto a tornare al suo tradizionale modello di alleanze.

Di fronte a regimi rivali (e in diversi casi apertamente ostili) su quasi tutti i fronti, Ankara ha il disperato bisogno di un alleato regionale. Da parte sua, Israele deve affrontare un livello di instabilità ai suoi confini che non si vedeva da decenni, e anche la minaccia di una nuova strategia statunitense basata sull’equilibrio dei rapporti di forza incentrata su un Iran rinascente. L’eventualità di un riavvicinamento Usa-Iran sta spingendo le potenze regionali di Turchia e Israele a consolidare la loro forza relativa per controbilanciare questa tendenza emergente. Entrambe le parti si sono trovate sempre più isolate, e il condividere gli stessi limiti e problemi di sicurezza li sta spingendo per via naturale verso la riconciliazione.

La cooperazione nella difesa e nei servizi di intelligence, oltre a maggiori investimenti bilaterali, consentirà a entrambe le parti di posizionarsi meglio nei confronti dell’espansione dell’influenza iraniana, della crescente attività jihadista e delle conseguenze della guerra civile siriana. Puntare sull’iniziativa del gasdotto diventa un utile strumento per ristabilire una cooperazione politica bilaterale, nella quale ogni parte può rivendicare la necessità di diversificare le proprie fonti energetiche senza dover affrontare all’interno reazioni politiche negative per essere venuti a patti con l’altro. Tutti gli elementi convergono verso un probabile pacchetto di accordi complessivi, dove la compensazione israeliana per Mavi Marmara e la normalizzazione dei rapporti accompagnerebbe l’intesa sul collegamento delle infrastrutture energetiche. Gli ostacoli politici e tecnici probabilmente renderanno il gasdotto Leviatan-Turchia inattuabile, salvo una improbabile soluzione della questione cipriota, ma il senso a breve termine del progetto sta nella possibilità di colmare il divario politico tra gli ex alleati.


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