Posted 1 ottobre 2013 in Turchia with 0 Comments
di Carlo Pallard
Velo islamico, questione curda, rapporti con le minoranze, e abolizione dell’inno nazionale nelle scuole. Questi i punti destinati a fare più rumore del cosiddetto “pacchetto democrazia” presentato da Erdogan. Misure che poco hanno a che fare con le esigenze di chi ha protestato in piazza Taksim e che, in ogni caso, sarebbe errato ritenere “vittorie della piazza”. Anzi, dopo un’estate molto difficile, che ha visto l’esplosione del più grande movimento di contestazione degli ultimi decenni e l’ulteriore logoramento del rapporto con le opposizioni, ci si attendeva una proposta riformatrice in grado di ottenere un generale consenso tra tutte le forze democratiche. Speranze che oggi hanno trovato una risposta soltanto parziale.
Il punto forte della proposta governativa consiste in un vasto intervento sul tema delle minoranze. In Turchia sarà finalmente possibile ricevere l’educazione scolastica in alcune lingue minoritarie, tra cui il curdo, benché solamente negli istituti privati. Il governo si impegna anche a porre fine al divieto di utilizzo delle lettere non presenti nell’alfabeto turco (q, x, w), e a ripristinare parte della toponomastica storica antecedente al colpo di stato del 1980. Il monastero di Mor Gabriel, principale centro culturale e religioso degli aramei, sarà restituito alla Chiesa siriaco-ortodossa. È infine previsto un generale inasprimento delle pene riservate a chi si macchierà di crimini di odio verso le minoranze linguistiche e religiose.
L’attività riformatrice del governo segue però anche un’altra rotta, segnata dall’ormai decennale kulturkampf ingaggiata dall’AKP contro l’ideologia kemalista dello Stato turco. Le musulmane praticanti potranno, qualora lo desiderino, portare il velo islamico anche nell’esercizio dei pubblici uffici (ad eccezione di polizia, esercito e magistratura), mentre ai bambini turchi non sarà più richiesto di cantare l’inno nazionale all’inizio della giornata scolastica.
Per alcuni aspetti è innegabile che questi interventi nel loro insieme costituiscano un passo in avanti per la democrazia turca, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra lo Stato e i popoli minoritari. È tuttavia legittimo interrogarsi sull’opportunità di alcune proposte, in particolare quella legata all’abolizione del divieto sul velo, destinate a rinfocolare ulteriormente le tensioni ideologiche con le opposizioni kemaliste.
La prova più inquivocabile del parziale fallimento del programma di Erdoğan arriva però proprio dalla fredda accoglienza che i curdi, la più grande minoranza del paese, hanno riservato alle riforme proposte ieri. Gültan Kışanak, presidentessa del partito filo-curdo BDP, ha infatti definito insufficienti le misure previste a tutela delle minoranze, e questo suona come un’ottima ragione per vedere il bicchiere mezzo vuoto.
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