Magazine Africa

Turchia /Non bastano milonghe e tanghi per darsi una parvenza di modernità

Creato il 12 gennaio 2015 da Marianna06

 

       

Biennale-d-arte-moderna-ad-istanbul-turchia-dal-12-settembre-all-8-novembre-2009-offerta-viaggio-4-giorni

 

Modernità non è tango.

Il tango piace  certamente ai giovani turchi e anche ai meno giovani, in quanto è soprattutto occasione d’incontro. E, naturalmente, pure di divertimento.

E così, specie nella grande Istanbul, nella metropoli che si affaccia sul Bosforo,accade che si aprano di questi tempi molto spesso milonghe, che sono  sempre più affollate nei giorni non lavorativi. E frequentate da persone di ogni età.

Modernità è, semmai, o almeno dovrebbe essere, la ricerca di un equilibrio che è difficilissimo realizzare, in una terra che altro non è che un ricco mosaico di credenze e di religioni differenti.

Dove Oriente e Occidente s’incontrano con le rispettive culture d’appartenenza e, talora, purtroppo si scontrano.

E, dove, nonostante certa ufficialità di fratellanza cercata e favorita dalle visite dei pontefici romani, per i cristiani la vita non è affatto facile.

Mi viene in mente il martirio di don Andrea Santoro, avvenuto anni addietro,giovane sacerdote romano, una domenica di febbraio del 2006 in un contesto, allora,  assolutamente insospettabile.

Perché don Santoro non aveva nemici e, soprattutto, credeva davvero che ascolto e dialogo sono la regola d’oro dell’essere missionari.

Costituiscono- egli ripeteva sovente-  la crescita dell’identità del cristiano. Sono i semi della verità se non si teme il confronto e i segni della presenza del Regno nel mondo.

Quello che potrebbe essere oggi un modello di laicità nell’intera regione come Stato (viene da pensare ai desiderata del fondatore della moderna Turchia messi nel dimenticatoio), anche in vista di un inserimento  nell’Unione Europea, fa registrare, grazie alla politica (la prevalenza odierna del partito islamico Akp), un’ ingerenza massiccia dell’Islam più conservatore su tutto il territorio.

E, cioè l’Islam sunnita di scuola hanafita, proveniente dall’Asia centrale, che è molto distante dall’Islam arabo, e per teologia e per motivazioni storiche.

Questo significa che il cosiddetto Dyanet ,ossia il ministero del Culto, attualmente lavora d’impegno solo per islamizzare il Paese, a cominciare dagli istituti scolastici,specie quelli superiori, dove i genitori mandano a scuola i propri figli.

Ed è lì, infatti, che si decidono anche le scelte degli insegnanti da immettere nei ruoli. Così come ugualmente imam e insegnanti di religione, anche quelli della diaspora, si formano in base ai dettami che il ministero del Culto ritiene consoni al credo ufficiale.

In poche parole addio laicità e con essa, com’è ovvio,addio democrazia.

Nei quartieri  cittadini di questi tempi, ad esempio, girano alcune figure femminili, le cosiddette predicatrici, chiamate vaize e formate appunto dal Dyanet.

E questo non solo a Istanbul.

Poi ci sono in moschea anche donne, che insegnano ad altre donne, e che condannano apertamente la poligamia, i matrimoni precoci e ogni forma di violenza legata al sangue. Cioè al delitto.

Perché- esse dicono-che “uccidere è vietato dall’Islam”.

E, comunque,esse sono le stesse che indossano rigorosamente il chador,e concedono alla vanità femminile, se così si può dire, molto poco. Quel poco di vezzoso che puoi intravedere sotto il nero dei lunghi paludamenti, se sei  di buon occhio scrutatore.

Accanto all’Islam non è difficile incontrare anche coloro che praticano il sufismo, che in Turchia è fuori legge dal 1925, ma i cui dervisci rotanti affascinano inevitabilmente chi ha l’opportunità di assistere alle loro danze-preghiere.

E poi ci sono gli alevi, una minoranza che non supera il 20% del totale della popolazione, su cui l’autorità politico-religiosa esercita, tuttavia, da sempre una forte pressione in quanto li assimila ai curdi.

Sono musulmani, o almeno si dichiarano tali nei documenti ufficiali, ma praticano l’uguaglianza di genere, cioè non discriminano le donne, non pregano più volte al giorno e non frequentano la moschea, non hanno scuole proprie, né  fanno il classico pellegrinaggio alla Mecca. Si tramandano semplicemente di padre in figlio gli insegnamenti religiosi del Profeta.

E per questo sono ritenuti infedeli dai musulmani sunniti.

Presi in esame i tasselli di questo composito mosaico è necessario, allora, un grande impegno, e da parte di tutti (incluso l’uomo della strada), per superare  contrapposizioni inevitabili e realizzare un quadro armonico pur nelle  scontate differenze.

Sarà possibile ciò, è quello che ha fatto intendere Papa Francesco, nel suo viaggio in Turchia, quando ha incontrato in visita ufficiale il presidente Erdogan, solo attivando quella che è la cultura del dialogo.

E, per dialogo s’intende dialogo interculturale e dialogo interreligioso.

Dialogo che richiede tempi lunghi, accurata preparazione e mai improvvisazione, discernimento, intelligente umiltà e, ancora, tanta capacità di accoglienza dell’altro.

Dal versante laico, invece, con ancora negli occhi le immagini teletrasmesse dalle tv straniere delle riprese amatoriali delle cariche della polizia contro i manifestanti, quando d’imperio da parte dello Stato, mesi fa, si è messo l’alt alle libertà d’espressione, violando quei diritti  elementari facenti parte di qualsiasi democrazia occidentale, si domanda l’abilità politica ai governanti turchi di saper fare all’uopo i dovuti distinguo tra confessioni e pratiche religiose e tra programmi e atti di natura politica.

Solo in questo modo la Turchia potrà sedere, a pieno titolo, assieme agli altri Paesi, che costituiscono l’Unione Europea, senza suscitare incertezze e dubbi circa il rispetto che si deve, comunque, a chiunque la pensi in maniera differente. 

 

                   Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :