di Matteo Zola
Manifestazioni turche in Francia
Il parlamento francese ha varato la proposta di infliggere prigione e multe a chi non riconosce il genocidio armeno. Il governo turco guidato da Tayyip Erdogan ritira l’ambasciatore, accusa la Francia di “genocidio”, blocca la collaborazione militare, pensa al boicottaggio economico. Anche la comunità armena e il patriarca armeno di Istanbul sono freddi sulla mossa francese mentre per Ankara si allontana ulteriormente la possibilità di ingresso nell’Unione Europea. Un bel casino.
La Francia di Nicolas Sarkozy non ha mai visto di buon occhio la Turchia, sia dentro che fuori l’Europa, specialmente da quando ad Ankara si è realizzata la fine della dittatura militare e si è aperto a una democrazia in fieri, islamica e “neo-ottomana“ (come è stata definita in modo denigratorio) in politica estera. A rendere tutto più difficile è venuta la proposta del parlamento transalpino di adottare un provvedimento con cui si criminalizza il rifiuto dell’olocausto armeno, passibile di condanna fino ad un anno di carcere e di una ammenda di 45mila euro. La Francia aveva già riconosciuto il genocidio armeno sin dal 2001, e meritoriamente, poiché le responsabilità storiche turche non si possono né si devono nascondere. Come già detto più volte da queste colonne, ogni Paese deve prendere coscienza dei propri crimini superando le letture storiografiche improntate al nazionalismo. Il governo Erdogan non intende procedere per questa strada mostrando un cocciuto (e un tantino sinistro) “orgoglio”.
Con un certo populismo Erdogan ha così accusato la Francia di essere xenofoba, discriminatoria, addirittura razzista, ventilando una sospensione dei rapporti commerciali oltre che diplomatici. Bordate che non fanno onore a un Paese tra i più vivaci del vecchio continente, capace di profilarsi come leader nel Mediterraneo orientale sfidando Israele e gli interessi americani nell’area.
Compassato, il ministro francese degli Esteri, Alain Juppé, ha esortato Ankara a non reagire in modo eccessivo, chiedendogli di stare calmo. “Abbiamo molto lavoro da fare insieme” ha aggiunto, anche in vista dell’approvazione definitiva del provvedimento da parte del Senato francese, prevista per il febbraio 2012, poco prima delle elezioni presidenziali. Va detto che nel maggio scorso, lo stesso Senato ha rifiutato di criminalizzare il rifiuto del genocidio.
La comunità armena di Istanbul – in particolare alcuni ambienti vicini al quotidiano Agos, che è stato diretto fino al 2007 da Hrant Dink, assassinato dai ultranazionalisti turchi – considera il disegno di legge francese un disastro per la libertà di pensiero e ha dichiarato che “quello che ci interessa è la dimensione umana del genocidio”. Una dichiarazione che rientra nel solco della diatriba sul negazionismo: può una democrazia limitare la libertà d’espressione, pur se limitatamente all’espressione di idee violente legate ai peggiori crimini della Storia?
La mossa francese ha però implicazioni ulteriori che l’Eliseo non ignora di certo: se il disegno di legge passerà anche al Senato è probabile che venga pure approvato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, perché non è contrario al diritto europeo. Questo renderà impossibile l’ingresso della Turchia nell’Unione a meno che Ankara non accetti quello che potrebbe essere, e non a torto, ritenuto un diktat. E un Paese orgoglioso non accetta diktat. La Turchia uscirebbe da questa vicenda isolata, in un contesto già difficile visti i rapporti tesi con Israele e gli Stati Uniti.