Posted 23 ottobre 2013
Il 16 ottobre è stato un giorno importante per la Turchia, con la pubblicazione dell’atteso Progress Report da parte della Commissione europea. Il cupo pessimismo che ha segnato la vigilia è stato in gran parte smentito dai contenuti del rapporto che, per quanto caratterizzato da una realistica visione in chiaroscuro della situazione politica e sociale del paese, sembra eccezionalmente conciliante verso la Turchia, soprattutto alla luce dei fatti di Gezi Parkı e delle conseguenti tensioni tra l’Unione Europea e il governo di Ankara.
Le critiche generalmente piovute dall’Europa sulla gestione delle manifestazioni di piazza nel mese di giugno hanno segnato il momento più eclatante di un anno globalmente caratterizzato da forti tensioni tra la repubblica anatolica e Bruxelles. Non solo la politica, ma anche l’opinione pubblica europea ha assunto negli ultimi mesi tratti radicalmente ostili alla Turchia e soprattutto al suo governo, mentre Erdoğan e i suoi collaboratori hanno più volte espresso la proprio rabbia e frustrazione verso l’Europa e le sue istituzioni.
La leadership turca, da molto tempo esasperata dall’atteggiamento europeo nei suoi confronti, è parsa in alcuni momenti tentata di reindirizzare la sua politica estera verso l’asse sino-russo rappresentato dalla Shanghai Cooperation Organisation (SCO) di cui la Turchia è già dialogue partner. L’opzione di lasciare la strada dell’integrazione europea per unirsi alla SCO è stata presentata da Erdoğan come uno “scherzo” tra lui e il presidente russo Putin, ma gli intenti della dichiarazione erano ugualmente provocatori. Ovviamente la posizione turca in politica estera non si basa soltanto sull’Unione europea, sembra quindi molto difficile che un paese cardine della NATO possa nell’immediato associarsi ad un’organizzazione decisamente alternativa rispetto all’Alleanza atlantica. Tuttavia in Europa pochi hanno apprezzato l’umorismo del premier turco. Per nulla scherzosa è stata invece la recente affermazione del ministro Egemen Bağış, secondo cui bisogna ormai considerare la possibilità che la Turchia non entri mai nell’Unione europea.
Con queste basi, anche i più entusiasti sostenitori dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea si avvicinavano molto mestamente alla fatidica data di metà ottobre. Non solo i giornali dell’opposizione, ma anche quelli tradizionalmente più vicini agli ambienti conservatori, come Zaman, hanno fatto previsioni piuttosto catastrofiche sui contenuti del Progress Report, nella certezza che gli eccessi repressivi di Piazza Taksim l’avrebbero fatta da padrone e che il rapporto del 2013 sarebbe stato di gran lunga il più negativo dall’inizio dei negoziati di adesione.
I peggiori timori degli ultimi mesi sono però stati dissipati nella mattinata di mercoledì. La Commissione europea, pur avendo inevitabilmente considerato «con realismo» i fatti di Gezi, si è pronunciata positivamente sulle riforme e sugli sforzi di pacificazione con la minoranza curda, dimostrando di aver sostanzialmente apprezzato il demokrasi paketi presentato poche settimane fa dal governo turco.
La vittoria politica più importante della Turchia è arrivata però dalle parole del Commissario europeo per l’allargamento Štefan Füle, che ha ammesso la corresponsabilità di alcuni stati europei, con il loro atteggiamento negativo e poco corretto verso Ankara, nell’averne ritardato il lunghissimo processo di adesione.
Füle ha inoltre affermato la convinzione di poter proseguire la strada della piena integrazione della Turchia nell’Unione europea, e che la Commissione intende chiedere l’apertura di tre nuovi capitoli negoziali. Il 22 ottobre il Consiglio Affari generali - composto dai ministri degli esteri degli stati dell’Unione – ha confermato, come già previsto in primavera, l’apertura del capitolo 22 sulla politica regionale e fissato al 5 novembre 2013 la data della prossima conferenza di adesione per la Turchia.
Oltre al capitolo 22, se il Consiglio europeo di dicembre darà conferma potranno presto avviarsi anche i negoziati sui capitoli 23 e 24 su Giustizia, Diritti fondamentali, Libertà e Sicurezza – gli stessi con con cui l’UE ha deciso di iniziare i negoziati con i più recenti paesi candidati come Serbia e Montenegro – proprio a garanzia che le violenze di quest’estate non vadano in dimenticatoio e che «l’Unione rimanga il punto di riferimento per le riforme in Turchia».
Pace fatta tra Bruxelles e Ankara, dunque? Presto per dirlo con certezza, ma in questi giorni si sono poste le basi perché il lungo viaggio della Turchia verso l’Europa, che solo un mese fa sembrava giunto ad un triste capolinea, possa riprendere significato. Tutto questo sarà però inutile senza quella buona volontà che in questi anni è spesso mancata da parte di entrambe le parti in causa.
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