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Turcus, morus e gherras de cursa

Creato il 09 dicembre 2024 da Indian

30 Nov 2016 @ 10:58 PM 

Lezioni condivise 118 – Fernand Braudel e il Mediterraneo.

Fin dai primi anni in facoltà di Lettere questo nome cominciò a risuonarmi nelle orecchie: Braudel, Fernand Braudel, e chi sarà mai? Il suo nome veniva declamato in diverse lezioni di differenti discipline, incuteva rispetto, curiosità… chini benit a èssiri?!

Dopo averlo letto posso dire che Braudel, storico francese del Novecento, esponente della École des Annales, in realtà è un poeta, un letterato; chi ama la letteratura potrà leggere con piacere i suoi libri che parlano di storia, ma parlano di tutto, in un modo che non pesa e che anzi attrae, conquista alla lettura.

Poeta del Mediterraneo, della vita quotidiana in epoca moderna sotto il dominio spagnolo in Europa, nel tempo di Filippo II e non solo, del territorio, dei commerci, dell’ambiente, dei popoli, del rapporto tra essi, cristiani e musulmani, africani, europei e mediorientali, del tempo della pirateria, delle torri di difesa dalle incursioni della pirateria barbaresca di cui è ancora circondata la Sardegna, delle guerre di corsa, della Spagna che si espande in Africa…

   Come accennato Braudel proviene dalla scuola degli Annales e dall’omonima rivista di da Lucien Fevbre e Marc Bloch, suoi maestri.

Si può definire il Mediterraneo? I mille paesaggi, aspetti, mari, civiltà che rappresenta? Braudel prova a definire questo insieme di unità e diversità storica, geografica e culturale.

Da una realtà apparentemente unitaria nell’antico mondo greco e romano, sebbene con diverse consapevolezze, dopo la caduta dell’impero romano, nell’età medievale divenne un’entità geostorica complessa, più eurocentrica (forse solo per noi) caratterizzata nel 1054 dallo Scisma d’Oriente e diventando protagonista nella lacerazione del mondo cristiano: cattolicesimo e ortodossa orientale. In questo contesto il cattolicesimo, forte di sovrani come Ferdinando e Isabella, poi Carlo e Filippo d’Asburgo, si trova in contrasto anche con il mondo islamico, caratteristica primaria dell’età moderna a partire dal XVI sec. con lo scivolamento nell’assolutismo.

Tra i vari eventi fondativi dell’Età moderna, la caduta di Bisanzio (1453) – ad opera dei turchi di Maometto II -, segnando la fine dell’impero bizantino, ci porta in un nuovo mondo, quello della modernità, anche se si preferisce far coincidere la nuova era con la “scoperta dell’America” (1492), evento storico contro impresa geografica, fatto concreto contro ignoto, Mediterraneo contro Oceano.

Eppure è proprio questo diverso ruolo del Mediterraneo a segnare la fine del mondo antico e porre le condizioni per l’avvio del Rinascimento, con la necessità di guardare comunque al mondo classico, dando in questo senso un ruolo alla penisola italica. Così, per quanto avanti nel tempo, un’altra data simbolica di cambiamento è la battaglia di Lepanto (1571), scontro esemplare del conflitto cristiano-islamico, tra spagnoli e ottomani, nonché simbolico riscatto del cattolicesimo sul protestantesimo.

Per quanto simbolica, quella battaglia non pose certo fine ai conflitti contro i turchi e l’islam, dando avvio alle guerre di corsa moresche e al sorgere delle torri antisaracene lungo le coste, che limitarono per circa due secoli gli scontri tanto di dar modo a Braudel di parlare di “pace mediterranea”.

Nonostante tutto il Cinquecento fu per i turchi un grande secolo, tanto che il sultano Solimano I fu accostato a Carlo V per magnificenza e fu in effetti un gran riformatore, con una visione d’ordine universale, benché il conflitto con l’occidente continuò ad esistere, fino a occupare Serbia e Ungheria (1521), incentivare la funzione utilitaristica del Mar Nero, per non parlare delle conquiste a est fino all’Iraq (1534) e nel nord Africa.  Tuttavia la Turchia si avvaleva di una convivenza multirazziale e di libertà religiosa ed era caratterizzata da città con modello urbanistico di forma classica, con dinamica commerciale e finanziaria.

Si fronteggiavano già allora un modello politico-economico orientale e occidentale, già proiettato questo verso il “nuovo mondo”, con egemonia spagnola, con comprimari francesi, asburgici e Venezia. Nulla di nuovo rispetto al passato storico, due grandi forze si fronteggiavano nel Mediterraneo, con successivi spostamenti egemoni tra impero austriaco e imperialità arabo-musulmana e più avanti l’azione a tratti ambigua di Napoleone, anche in funzione anti inglese. E siamo quasi ai giorni nostri con una funzione mediterranea pressoché statica, ove si fronteggiano culture differenti, il cui principio può esser fatto risalire alla pace di Vestfalia (1648), ossia la fine della guerra dei Trent’anni, che segna il principio della nascita delle nuove statualità europee, una sorta di disgregazione dell’impero e le prime avvisaglie della Rivoluzione.

   Ma proviamo, per una più completa comprensione, a fare un passo indietro fino alle “origini” storiche del Mediterraneo, partiamo da una espressione che certamente abbiamo già sentito: i popoli del mare.

Intanto percepiamo, e per certi versi è ancora così, che i movimenti, per mare o per terra, sono sempre avvenuti dai primordi della storia da Oriente a Occidente, per questioni climatiche o di spazio vitale (il fenomeno sud – nord è più complesso, raro e non così antico).

Sappiamo anche che la “storia” la hanno sempre fatta i potenti, pertanto da lì muovono per forza di cose i nostri riferimenti.

Diciamo che fino al 1200 a.C. per quanto riguarda il Mediterraneo si era vissuta una politica di equilibrio con l’egemonia di due popoli, Ittiti (Anatolia) ed Egizi. Contraddicendo la premessa, la rottura di questo equilibrio giunse relativamente da Occidente (e sarà ancora così per i Romani), precisamente dai Balcani, con una forza dotata di armi e navi, ma quello da ovest verso est non fu mai un movimento migratorio, piuttosto colonizzatore, infatti i primi popoli del mare (definizione egiziana) furono gli Achei, i Filistei (greci) e i Lici (Asia minore). Per curiosità annotiamo che i Filistei si insediarono in Palestina, insieme agli Ebrei (originari della terra di Cana e vicinanze).

In fondo non si trattava di popoli lontanissimi tra loro: gli Ittiti scomparvero, gli egizi ressero con Ramses III.

I popoli del mare portarono anche una innovazione economica, ovvero il passaggio massiccio dal bronzo al ferro. Importante in quel periodo il ruolo di Cipro come produttore di rame e di Creta come produttore di legname, ma anche per la sua attività marinara che ne fece una potenza in mare.

Nello stesso periodo si sviluppò la civiltà Micenea basata sulla ceramica e altre importanti civiltà come quella dei Fenici, commercianti di stoffe colorare, vetro. Provenivano dall’odierno Libano e diffusero la scrittura, base della nostra e adattata dai Greci, al posto della cuneiforme, molto più complessa. Furono il principale “popolo del mare”, fondarono Cartagine, Palermo, Cagliari, Tharros e le usarono come una sorta di empori commerciali.

Siamo sostanzialmente alla vigilia della civiltà ellenica, risultanza più longeva dell’azione dei popoli del mare.

   Un altro cenno necessario per descrivere le vicende del Mediterraneo è l’espansione del Cristianesimo in nord Africa già dal I sec. d. C., quindi molto più avanti in Nubia, Etiopia e altre regioni anche a occidente, salvo scomparire quasi del tutto nel VII secolo con l’avvento dell’Islam e non solo per ragioni religiose.

La città di punta del cristianesimo antico fu Alessandria, che ebbe come vescovo Marco evangelista, e subì per prima la repressione dell’impero romano con Decio e Diocleziano.

   Molto più avanti arrivano alle guerre di corsa, legate ai corsari e alla pirateria barbaresca, siamo in età moderna e al centro c’è sempre il Mediterraneo, ma con nuovi interpreti, provenienti dall’Africa. Si trattava prevalentemente di rapide incursioni tese a ricavare un bottino di merci e schiavi; la differenza era che i corsari erano autorizzati da uno stato, con le “lettere di corsa”, recanti sorta di regole, limiti e obiettivi, i pirati erano invece veri e propri banditi del mare e talvolta le due figure si incrociavano, come nel caso degli inglesi, olandesi e francesi, anche se i più attivi erano i barbareschi, detti anche mori o saraceni, che muovevano soprattutto da Algeri.

La Spagna, che controllava il mediterraneo occidentale, dal Cinquecento in poi iniziò a costruire le torri costiere di difesa; la Sardegna, territorio più colpito, fu interamente circondata da torri in collegamento visivo l’una sull’altra. E siamo già al tempo di Braudel.

   Un aspetto molto trascurato nel Mediterraneo sono stati gli eventi climatici e le catastrofi naturali, che hanno condizionato la vita in diverse parti del globo, dobbiamo però rilevare che nel passato non si aveva alcuno strumento per far fronte a questi disastri ambientali.

Con la fine dell’era glaciale l’umanità ha potuto iniziare a stanziarsi permanentemente in precisi territori, dando luogo all’agricoltura, il commercio, l’allevamento, l’industria. Non sempre l’uomo è stato consapevole della necessità di gestire tutto ciò in equilibrio, e ha privilegiato spesso la speculazione alla necessità, specie dal Settecento in poi, dando luogo alla nuova era detta “Antropocene”, ovvero il graduale aumento delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, provocando l’incontrollato aumento di uragani, alluvioni, siccità.

In ogni tempo imprevisti cambiamenti climatici hanno causato migrazioni e conseguenti variazioni politico-sociali nei luoghi di approdo; accadde in Mesopotamia 2000 sec. a.C., in Egitto e altrove. Tra gli imputati la fine improvvisa dell’età del bronzo con tutti i cambiamenti che comportò, in seguito la cultura “terramare”, che rese più aride terre come la pianura Padana. Fu in questo contesto che maturarono le condizioni per lo scoppio della prima grande pandemia globale, la celebre Peste Antonina, l’insorgere del vaiolo, della malaria, con ripercussioni notevoli sulla popolazione in termini anche demografici oltre che politici.

Nel 500 d.C. l’eruzione vulcanica in Asia, originò la piccola glaciazione tardoantica e contemporaneamente la pesta di Giustiniano, diffusa dalle scarse condizioni igieniche e i contagi portati dalle rotte commerciali mediante pulci e ratti.

Malattie, povertà, hanno sempre inciso sul malcontento popolare e sulle rivolte foriere di conflitti e instabilità, che cessano al ritorno di una stabilità climatica, come intorno al mille, per precipitare nella crisi del Trecento con la peste nera, in seguito a nuovo cambiamento del clima (piccola glaciazione dell’Età moderna), causa di una nuova instabilità mondiale: caccia alle streghe, guerre di religione, inquisizione, fino all’anno 1816, senza estate, con carestie annesse.

   Eppure non sembra che i potenti di oggi traggano lezione dalla storia, qui esposta per sommi capi, che probabilmente neppure conoscono, benché i segnali siano tanti, sia come cambiamenti climatici, sia come scontento popolare e conflitti armati. Peraltro il Mediterraneo è particolarmente esposto a questo genere di crisi, in termini storici e reali: eruzioni vulcaniche, terremoti, alluvioni, pandemie…

(Storia moderna II – 21.01.1998) MP

Turcus, morus gherras cursa

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