“Il colore è contraddittorio, sublime ma contraddittorio, eppure armonioso”.
Turner è l’ultima pellicola di Mike Leigh che racconta la storia del celebre pittore paesaggista Joseph Mallord William Turner (interpretato da un bravissimo Timothy Spall), vissuto tra il XVIII e il XIX secolo. La storia si apre nei primi anni dell’800, quando Turner assiste, impotente, alla morte dell’anziano padre, al quale era profondamente affezionato e devoto, e prosegue col racconto del legame che instaurò con la signora Booth, proprietaria di una pensione sul mare, nonostante l’assillo costante di una sua precedente amante, con la quale ebbe due figlie.
Il Turner di Timothy Spall (già visto, tra gli altri, in Harry Potter, Il discorso del re e Sweeney Todd; Il diabolico barbiere di Fleet Street) è un uomo burbero, ombroso e un po’ orso, ma anche un viaggiatore instancabile, uno scopritore di scorci e paesaggi da trasporre nei suoi quadri, colmi di una potenza descrittiva e di una forza uniche.
Già vincitore del premio per la Miglior interpretazione maschile al 67esimo Festival di Cannes, Mr. Turmer (titolo originale del film) mette in evidenza in molteplici occasioni il fatto che questo pittore sia stato, forse, uno dei più importanti paesaggisti della storia dell’arte, colui che, benché appartenente alla corrente del Romanticismo, gettò le fondamenta per la venuta dell’Impressionismo.
Turner è stato, invero, un genio dell’arte visiva e Mike Leigh decide di soffermarsi solamente sull’ultimo periodo della sua vita, quello nel quale egli era già noto ed affermato tra il grande pubblico, tanto da poter vivere agiatamente ma, anche, da essere costretto ad usare un nome falso per godere dell’anonimato.
In Mr. Turner ogni evento, ogni situazione della vita privata pare destinata a riflettersi sull’arte, ogni vicenda sembra ripercuotersi sulle imponenti tele di quest’uomo; su tutte spicca, ad esempio, la decisione di farsi legare all’albero maestro di una nave per osservare l’arrivo di una tempesta, a rischio della propria vita.
Lo spettatore viene, così, portato quasi ad immedesimarsi in quest’individuo scontroso, a simpatizzare con ogni suo grugnito e smorfia, soprattutto grazie a quell’andatura e a quell’atteggiamento da Mr. Hyde che caratterizza la recitazione di Timothy Spall, vero perno di tutta la storia, eccentrico individuo mai dimentico della potenza e del fascino che la vita umana possiede, sempre ansioso e desideroso di ricreare quella suggestione sulla tela, teso, fino all’ultimo respiro, a rappresentare il mistero delle mille sfumature dell’esistenza e della natura, a raffigurare la luce, giungendo, quindi, sul letto di morte, ad affermare “Dio è il sole”.
La fotografia e le lunghe inquadrature, i piani sequenza e le composizioni ci fanno entrare nelle brughiere inglesi, e ricreano delle atmosfere davvero suggestive (bellissimo il passaggio dal dettaglio di un quadro ad una rupe che sovrasta lo stesso Turner e che sembra volerci suggerire quanto sia minuscola la natura dell’uomo se paragonata a queste meraviglie naturali).
Magica l’ultima mezz’ora del film, quando Turner per la prima volta si fa ritrarre da un dagherrotipo e, di fronte, alle meraviglie del progresso, esclama: “Presto i pittori andranno in giro per il mondo con una cassetta (…), invece che con la tavolozza sotto il braccio”.
Ogni scena, ogni inquadratura, ogni episodio contribuisce a rivelare una sfaccettatura, un risvolto del carattere di un genio dell’arte che ha precorso i tempi e che riesce a ricordarci come valga la pena di meravigliarsi ogni giorno del tramonto del sole, senza riuscire a descriverne il motivo. Questa meraviglia, questa continua ed incessante ricerca costituisce, forse, il baricentro di una vita intera, tra il bello e il cattivo, la gioia ed il dolore inevitabile, ma anche tra posti da vedere, luoghi da visitare, emozioni da vivere, persone che entrano a far parte della nostra storia e che aggiungono sapore e colore ai nostri giorni, fosse solamente per lo spazio di una risata.
Un film intenso, che all’inizio potrebbe risultare un po’ lento, ma che vale la pena gustare fino in fondo, attendendo che gli avvenimenti si sommino per dar vita ad un personaggio che, tra mormorii, grugniti ed ilarità, racconta ciò che si trova, da sempre e per sempre, racchiuso in ognuno di noi: “Sua maestà, il mistero”.
Di Ilaria Pocaforza.