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Turning (Big) Data into BIG impact

Da Twagomagazine @lorenzomonfreg

Anche quest’anno, come l’anno scorso, vi presentiamo il nuovo BIG DIVE, appuntamento imperdibile per chi si interessa di BIG DATA! Ecco la presentazione ufficiale dell’edizione 2013:

An open call for developers, scientists, hackers, designers and managers.

Parafrasando il libro di Phil Simon “Too big to ignore” il fenomeno dei BIG DATA semplicemente non può passare inosservato. Il volume di dati prodotti dai social networks dalle reti di sensori intelligenti e dai log dei sistemi informativi aziendali (a cui deve essere aggiunto l’output del processo costante di digitalizzazione della conoscenza) si configura come asset “potenzialmente” imprescindibile per le nuove aziende ICT. Alcuni “visionari” si accingono non a caso ad ipotizzare una tassa sul possesso dei dati equiparandoli ad un qualsiasi altro asset aziendale (Kenneth Cukier – The Economist).

D’altra parte un anno di “hype mediatico” attorno al tema ha efficacemente dimostrato come la sola disponibilità dei dati grezzi non sia fonte diretta di valore: “data don’t speak for themselves!”. La celebre frase di Chris Anderson “With enough data, the numbers speak for themselves” si è rivelata un efficace pretesto per favorire il movimento degli open data e per sensibilizzare le masse sul tema, ma ha mostrato tutta la sua debolezza al cospetto di enormi (o presunti tali) database non strutturati accumulati in breve tempo da aziende e player del settore senza una chiara prospettiva di utilizzo.

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Big Data non è quindi un problema prettamente tecnologico, o in ogni caso non è questo l’aspetto chiave e determinante. Individuato uno stack di riferimento (Hadoop Distributed File System – HDFS, MapReduce, Cassandra or HBase, Hive, Flume, JDBC and ODBC drivers, Hue, Pig, Oozie, Avro, Zookeeper, etc – Designing for Big Data: The New Architectural Stack, Gigaom), la personalizzazione o le variazioni sul tema dipenderanno da scelte filosofiche, trend di utilizzo e imposizioni più o meno marcate dei vendor con una ricca serie di prodotti inventati o re-inventati per maneggiare i Big Data.

Alla recente Strata Conference di Santa Clara è apparsa evidente la necessità di una prospettiva di business chiara nell’approccio ai BIG DATA. La mera disponibilità del dato, infatti, non rappresenta di per sé un business model sostenibile.

Per evitare o ridurre gli effetti del “trough of disillusionment” (Gartner Hype Cycle curve) e raggiungere in fretta il “plateau of productivity” i dati (BIG o Small) devono quindi  essere collocati ed analizzati in uno specifico contesto, da figure professionali specificatamente formate sui temi in oggetto, capaci anche di evitare gli errori sistematici (Bias) legati ai campioni di dati.

Servono dunque:

- data set di effettivo valore (dove la connotazione Big può non essere vincolante), per i quali l’attributo di “effettivo” sia misurabile in termini di impatto sociale ed economico.

- startup in grado di valorizzare rapidamente il patrimonio informativo, svincolate da sovrastrutture e dinamiche “corporate”.

- data scientist che sappiano estrarre “use cases” ed opportunità di business facendo uso delle soluzioni tecnologiche a disposizione.

In tal senso il cammino da compiere è ancora lontano dall’essere concluso.

 

Big Dive, progetto del consorzio TOP-IX in collaborazione con Axant.it, ISI Foundation e Todo.to.it si colloca lungo questo percorso come corso di formazione per data scientist organizzato a Torino, giunto quest’anno alla sua seconda edizione. Il corso si articolerà su 5 settimane di lezioni full time in cui esperti del settore forniranno nozioni sui tre temi dello sviluppo codice, della visualizzazione e della scienza. Dopo una prima edizione con 20 partecipanti provenienti da 8 diverse nazionalità e sponsor/partner prestigiosi del calibro di Telecom Working Capital, Palantir Technologies, 10Gen, Seeweb e Amazon Web Services, la seconda edizione partirà il 3 giugno 2013 con termine delle iscrizioni il 19 maggio 2013.


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