Tutta colpa di Freud
Creato il 27 gennaio 2014 da Mattia Allegrucci
@Mattia_Alle
Sappiate che, se sono andato a vedere questo film al cinema, è tutta colpa del titolo e anche del precedente lavoro di Paolo Genovese. Due anni fa andai a vedere Una famiglia perfetta, dello stesso Genovese, autore di Immaturi e relativo sequel e, in tutta onestà, mi piacque. Così mi sono voluto fidare ancora una volta di questo regista e, un pochino incuriosito anche dal trailer del film, mi sono infilato in una sala per cercare anche quest'anno l'umorismo sano e volgare quel tanto che basta che trovai poco prima di Natale 2012. Non si possono negare i pregi della comicità che questo film propone: tempi comici azzeccati e un non banale modo di fare ridere (con qualche citazione qui e là che per noi cinefili non guasta mai), né possiamo discutere sulla bravura degli attori (primo tra tutti Marco Giallini, interprete principale e filo conduttore delle tre storie di cui parlerò tra qualche riga), tuttavia questa volta la scrittura di Genovese risulta traballante e confusa, anzi, forse addirittura troppo superficiale. Risulta poco credibile trovarsi sullo schermo la storia della lesbica Anna Foglietta che decide di cambiare orientamento sessuale ma che si stupisce di una erezione, o che pensa addirittura che le donne etero facciano solo le faccende di casa, badino alla famiglia e nulla più. Non mi riesce di credere ad una Vittoria Puccini che si innamora del suo scrittore preferito ma non è andata a leggersi la sua biografia, scoprendo che in realtà è sposato e con figli ("normale", insomma). E risulta altrettanto incredibile che a diciotto anni Laura Adriani studi ancora il futuro anteriore. Sono piccolezze, questo è vero, ma sono piccolezze che messe insieme si trasformano in una grossa lacuna di sceneggiatura, la quale rende insopportabile la semplicità con cui Genovese si approccia a questa storia, trasformando uno spunto interessante in una accozzaglia di gag simpatiche, certo, ma vuote, prive di una struttura solida alle spalle, un po' come il film. Tre figlie, tre storie, unico filo conduttore: il padre, Marco Giallini, credibile come psicanalista tanto quanto la sua primogenita è naturale nei panni di una eterosessuale. Ecco dunque l'ennesimo pretesto familiare che serve al cinema italiano per raccontare il solito cocktail di favole romantiche, di colpi di fulmine, di disillusioni amorose, di destini che si incrociano e chi più ne ha più ne metta. I problemi di script, poi, si ritorcono anche contro le relazioni tra i protagonisti, anche loro molto semplici nella scrittura, i quali non hanno quasi mai reazioni spontanee ma costruite, finte, proprio come quando Giallini si arrabbia definitivamente con la sua secondogenita: semplice, pacato, e accademico, nemmeno un briciolo di sfogo nel momento in cui esclama i padri devono fare i padri, non gli amici, comportandosi per l'ennesima volta da amico più che da padre esasperato. Insomma, se il film precedente di Genovese era stata una piacevole sorpresa, questo nuovo lavoro è stato più una mezza delusione. Tutta colpa di Paolo? Non saprei, fatto sta che quel nome tanto famoso e tanto poco rassicurante inserito tra i soggettisti di questa pellicola, quell'imprevisto Leonardo Pieraccioni che scrive la storia assieme all'autore e a Paola Mammimi, mi fa pensare che le colpe non siano proprio tutte da attribuire a Genovese, che comunque in quanto a direzione di attori fa la sua discreta figura.
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