Oggi Palermo era come Milano, con quel velo bianco a dividere gli sguardi, le persone, le parole. I colori sfuggiti, le curve della città erano desaturate. Solo il vento mi ricordava la differenza, la potenza delle folate che ti scombinano i capelli, i passi, le decisioni. A Milano era sempre tutto fermo invece. Gli oggetti, le foglie, le bandiere. Io. Si muovevano solo le persone, per compensazione e non sempre sapevano dove andavano; facevano solo quello che va fatto, per equilibrare le cose.
Poco fa ridevamo delle forme strane che si creavano nei nostri capelli e quel bianco, sulle nostre teste mi ha impaurita, per un po’. Mi sembrava che tutto stesse sbiadendo.
L’umore della città oggi mi somiglia: sta nascondendo i colori per esploderli in un solo colpo: tra poco, tra pochissimo. Sento tutta la sua energia, questa pausa prima dell’esplosione. Poi ricomincerà l’estate.
Quella arriva sempre. E’ l’unica consolazione dei luoghi comuni: non se ne esce.
C’è un sacchetto sulla mia terrazza che fa rumore, frizza il riflesso di questo cambiamento e gratta. Fischia la spinta della natura che vuole imporsi alla mia voglia di camminare. Sibila il prossimo acquazzone, spero l’ultimo di questa stagione.
Poi, di colpo, tutto è diventato rosso. E mi sono arresa alla metafora atmosferica
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