Magazine Attualità

TUTTE LE CARTE IN REGOLA PER ESSERE UN MALEDETTO #pierociampi #cantautore #poeta

Creato il 29 aprile 2013 da Albertomax @albertomassazza

ciampiAveva tre buoni motivi per avercela col mondo: comunista, anarchico e livornese. Ma Piero Ciampi aveva soprattutto un abisso dentro, una forza centrifuga che lo spingeva ad essere un borderline. Il suo sguardo sul mondo scavalcava le convenzioni e andava dritto all’autenticità: per gli altri erano abbracci o pugni, senza mezze misure, senza indifferenze.

Talmente personaggio da essere autentico, talmente autentico da permettersi di sputare in faccia allo show business, ogni volta che gli veniva aperta la porta. Aveva capito tutto all’inizio degli anni sessanta, nel breve periodo in cui cercò di ritagliarsi uno spazio nella nascente scuola dei cantautori, tra Gino Paoli  e Umberto Bindi. Il nome era quello che si guadagnò nel suo apprendistato a Parigi, Piero Litaliano, mentre cercava di farsi le ossa come chansonnier, tra un brindisi con Celine e un recital di Brassens.

Nonostante le incaute profezie del Corriere della Domenica, che aveva intravisto in lui, con malcelato disprezzo, il prototipo del cantante pop esistenziale, prodotto in laboratorio e destinato a dominare la scena futura, i 45 giri e l’album omonimo passarono inosservati. Solo qualche addetto ai lavori colse l’originale vena poetica di Piero; per i più era solo un mediocre cantante, un autore artificiosamente sofisticato, alcolista e attaccabrighe. A nulla valse l’interessamento di Gianfranco Reverberi, conosciuto durante la naia, musicista contrattualizzato dalla Ricordi.

A complicare ulteriormente le cose, il repentino naufragio del primo matrimonio con l’irlandese Moira, da cui ebbe un figlio. Furono anni di nomadismo degno di Dino Campana, con viaggi improvvisi in mezza Europa, avvolti nella leggenda: Reverberi addirittura parlerà di una cartolina di Piero dal Giappone. Ciampi, in questi anni, lavorò più che altro come autore, ma, nonostante i suoi brani venissero interpretati da cantanti di grido del tempo, come la Cinquetti, Milly e Tony Del Monaco, rimase ai margini dell’industria discografica. Gli venne affidata addirittura la direzione artistica di un’etichetta, la Ariel, ma fallì dopo pochi mesi. Gli anni ’60 si conclusero con un altro matrimonio naufragato velocemente e una figlia. Gino Paoli lo portò in Rca e riuscì a farlo contrattualizzare, ma Piero si prese l’anticipo, se lo bevve, non compose niente e il contratto venne rescisso unilateralmente dalla Casa.

Gli anni ’70 si aprirono con l’incontro e la collaborazione con Gianni Marchetti, musicista geniale e borderline, autore di preziose colonne sonore per b-movie. Il sodalizio fruttò i capolavori assoluti della discografia del livornese, quattro album pubblicati tra il ’71 e il ’76, in cui l’originalissima vena poetica di Piero raggiunse i suoi vertici. Una poesia che non aveva nulla di autoreferenziale, capace di risolvere una sviolinata sentimentale degna di Cyrano con un vaffanculo cosmico, al diniego dell’amata (Adius); di passare in pochi versi dall’ammissione di un pugno dato alla sua donna, alla coscienza dell’imperdonabilità del gesto, all’orgoglio per essersi sostituito a Dio nell’averne modellato il naso (Ma che buffa che sei); di celebrare senza pudori l’orgoglio tutto italico del latin lover cazzone (Te lo faccio vedere chi sono io); di implorare la propria donna di non lasciarlo, proprio per il motivo per cui veniva lasciato, il suo essere fuori e inaffidabile(Tu no); di raggiungere livelli Joyceani nella descrizione epica della sbornia (Il Vino).

Gli ultimi anni passarono nell’estremizzazione del randagismo etilico. L’ultimo treno per il successo passò nel 1974, con la Vanoni che volle incidere un album di sue canzoni, contattò Marchetti, ma di Piero non si trovò traccia, probabilmente perso in uno dei suoi vagabondaggi leggendari. Quando riapparve, la diva Ornella, spazientita dall’attesa, non ne volle più sapere. Gli amici cercarono di rimetterlo in carreggiata, organizzandogli serate in cui Ciampi si presentava completamente ubriaco, battibeccava col pubblico spazientito e abbandonava il palco prima d’aver finito la prima canzone, gridando ai quattro venti d’essere il cantante più pagato d’Italia, 500 mila lire per mezza canzone. Memorabili la comparsa al Premio Tenco del ’76, in cui, dopo un florilegio di insulti al pubblico, offrì una performance intensissima, che fece sciogliere gli astanti in commozione; e l’esibizione a Senza Rete, con Paolo Villaggio che dovette trascinarlo letteralmente in scena per costringerlo a cantare. Ancora, la rissa con Califano, reo di averlo invitato nel suo locale romano e di non avergli offerto da bere.

Nonostante le collaborazioni importanti, da Nada a Dalida a Paolo Conte, Ciampi scivolò inesorabilmente verso la morte che lo colse appena 45enne, il 19 gennaio 1980, per un cancro alla gola. L’unico riconoscimento a cui teneva, lo ottenne anche dalla burocrazia, quando riuscì a farsi scrivere nel passaporto, alla voce professione: poeta.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :