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RECENSIONE "THE JUDGE" (2014), regia di David DobkinPellicola scelta per l'apertura del Toronto International Film Festival del 2014 diretta da David Dobkin, più noto come produttore che come regista (l'unico altro film degno di nota è lo spassoso 2 Single a Nozze con Owen Wilson e Vince Vaughn), e con un cast stellare tra cui Robert Downey Jr e Robert Duvall.Il film racconta del ritorno dello spietato avvocato Henry Hank Palmer a casa, una piccola cittadina dell'Indiana da cui fuggì da ragazzo per non farvi più ritorno, in occasione della morte della madre. Il rapporto conflittuale col padre, giudice rigido e integerrimo della città per più di quarant'anni, con cui ha tagliato i ponti da anni, avrà un risvolto pacificatore quando l'uomo sarà accusato di omicidio volontario e il figlio deciderà di difenderlo, riavvicinandosi al genitore fino a scoprirne i più sepolti segreti che lo hanno spinto alla durezza nei sui confronti. Ritrovando le sue radici e appianando i conflitti interiori che si trascinava da sempre, Palmer riuscirà finalmente a ritrovare una sua dimensione.Ok, siamo di fronte al classico filmone strappalacrime incentrato sul conflitto padre-figlio posto di fronte all'etica “la legge è uguale per tutti”, attraverso la quale si arriva alla redenzione e al chiarimento. Premettendo che adoro questo genere di trama, devo ammettere però che ho trovato tutto il plot un po' scontato, ricco dei cliché del caso (che, certo, ci vogliono), ma privo di quel più che avrebbe dato al film un coinvolgimento maggiore. Cerco di spiegare con un esempio. The Big Fish di Tim Burton, trama anni luce da questa in quanto incentrata sulla fantasia mentre questa è basata su di una cruda realtà, ma tematica simile: rapporto conflittuale padre-figlio con risoluzione catartica nel climax della vicenda. Distaccandosi dalla storia fantastica, dove risiede il plus valore del film di Burton? Nella poetica, che da uno spessore maggiore alla narrazione. Facile, direte, visto il genere di fatti raccontati. No, non è così scontato. In The Judge il plus valore risiede nell'etica morale di fronte alla legge, che guida le scelte del Giudice e lo mette per questo in contrapposizione col figlio. Essendo un concetto al limite della rigidità lo spettatore, proiettato dai fatti verso tematiche emozionali, fa più fatica a entrare in empatia con la sceneggiatura.A rendere coinvolgente il prodotto è sicuramente il cast. Robert Downey Jr non ha certo bisogno di esser commentato; dopo l'oblio degli anni a cavallo tra i '90 e il 2000, e la rinascita, come il suo personaggio, nel 2008 con Iron Man, non ha più sbagliato un colpo e ci ha abituato a prove recitative eccellenti. Qui finalmente lo ritroviamo in un genere più drammatico, in cui non lo si vedeva da tempo. Per tutti gli amanti di questo attore suggerisco sicuramente il film che di lui più adoro, Charlot di Richard Attenboroguh (il dottor John Hammond di Jurassic Park per intendersi) in cui interpreta in maniera magistrale la vita di di uno dei più grandi geni artistici del secolo scorso: Charlie Chaplin.Mentre Downey Jr è uno standard di sicurezza, le vere perle, che definire di contorno sarebbe sicuramente riduttivo, sono le interpretazioni di Robert Duvall, Billy Bob Thornton (che generalmente non mi piace ma che qui riesce a conferire una profondità al suo personaggio davvero unica, seppur presente poco nella pellicola) e Vincent D'Onofrio. Lasciatemi spendere qualche parola su questo bravissimo attore troppo spesso ignorato. Dopo i gravi problemi di salute che l'hanno allontanato dal set di Law and Order: Criminal Intent, che l'aveva finalmente fatto conoscere al grande pubblico, lo ritrovo con piacere all'interno di un cast in cui è degno di stare, e la sua interpretazione del fratello di Hank ne è la prova. Un attore oltremodo versatile, passato attraverso tanti generi, da Mystic Pizza con Julia Roberts, a Men in Black, a Il Tredicesimo Piano (film che ha ispirato Matrix), e a mille altri ruoli in cui ha sempre offerto prove recitative eccellenti.Quindi in definitiva un film sicuramente da vedere, che appassiona e commuove allo stesso tempo, facendo leva sulle nostre emozioni più profonde.
Diego Collaveri
Un po' di notizie su Diego:
Diego Collaveri, nato a Livorno il 27/02/’76; dal 1992 al 2000 lavora in campo musicale come chitarrista e arrangiatore, con collaborazioni per EMI music. Nel 2000 l’evoluzione creativa lo porta verso la scrittura, confrontandosi nell’ambito del circuito dei concorsi di poesia e narrativa, da cui arrivano, fin da subito, riconoscimenti e le prime pubblicazioni.
Nel 2001 si affaccia alla sceneggiatura, prima nella commedia teatrale e l’anno successivo nel cinema breve, per poi arrivare a dirigere il primo cortometraggio, con cui vince il concorso Minimusical indetto da La Repubblica e la casa di produzione Fandango, con cui successivamente collabora. Per implementare le conoscenze registiche intraprende un percorso didattico/formativo con vari registi italiani (Paolo Virzì, Davide Ferrario, Ruggero Deodato, Francesco Falaschi, Umberto Lenzi) e studia storia della cinematografia, lavorando, al tempo stesso, dietro le quinte di alcune compagnie di musical.
Nel 2003 fonda la Jolly Roger productions, etichetta indipendente per la produzione di cortometraggi e video di spettacoli live.
È autore della saga giallo/noir “Anime Assassine”, con protagonista l’ispettore Quetti e di quella fantasy “Le pergamne di Ankor”. Nel 2013 alcune avventure dell’ispettore Quetti sono uscite sulla rivista Cronaca Vera.
Sito: http://www.diegocollaveri.it
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