Alle prime luci del mattino si incontrano Guido (Luca Marinelli), colto e compassato, e Antonia (Thony), passionale e talentuosa (scrive e canta le sue canzoni): lui è appena tornato dal turno di portiere di notte e lei si sveglia per andare all’autonoleggio nel quale lavora. L’occasione è buona per fare l’amore, “tutti i santi giorni”, non prima però che Guido abbia servito a lei la colazione a letto e le abbia illustrato la storia del santo celebrato quel dì. La coppia desidera più di ogni altra cosa avere un figlio, che però non arriva. Ecco allora qualche crepa nel rapporto.
A partire dal romanzo La generazione, esordio letterario di Simone Lenzi (cantante e autore dei testi dei Virginiana Miller, qui anche sceneggiatore), ben accolto dalla critica, un film che vuol’essere diverso dal testo da cui è tratto. Il titolo pone già le basi di questa premessa, traducendo in Tutti i santi giorni la storia di due persone che si vedono per pochi istanti al mattino, ma che non perdono occasione per dimostrarsi la passione che li lega. Calati in una dimensione profondamente urbana e caotica (Roma), Guido e Antonia vivono il quotidiano aggrappati al loro desiderio più forte, che non tarda a diventare ossessione. La prima parte regala personaggi veri, in fondo credibili, anche se con qualche forzatura (toni “macchiettistici” nella loro caratterizzazione), e situazioni umanamente condivise e condivisibili. Si racconta il precariato, ma non quello del lavoro, semmai quello delle relazioni che si basano su un sogno, o almeno ci costruiscono sopra la loro forza, su scelte e rinunce importanti, sfide e sacrifici. Nella seconda parte tuttavia emergono le cose peggiori, che deludono, persino snaturando lo stile naif di Virzì: personaggi stereotipati (il rocker selvaggio e ignorante, i genitori ansiosi e invadenti, i vicini coatti che nascondono magagne dietro l’apparente felicità, quella ginecologa controcorrente che strizza l’occhio a Luciana Littizzetto); momenti surreali che vorrebbero essere divertenti, come la corsa alla consegna dei vasetti contrappuntata dal notissimo valzer di Strauss Sul bel Danubio blu, e soprattutto la scena in cui Guido, in strada con la compagna, alza la voce a stoppare la confusione che lo circonda e tutto magicamente si blocca, persone e rumori (per la cronaca, uno degli sceneggiatori è Francesco Bruni, collaboratore storico di Virzì, che ha anche scritto il fiacco Anche se è amore non si vede, di Ficarra e Picone, nel quale un episodio del tutto simile viene proposto come gag comica); qualche dialogo didascalico (come quello dell’impiegata dell’autonoleggio, in un passaggio rivelatorio). Riguardo agli interpreti: Marinelli è bravo, attore duttile, che sa lavorare bene di sottrazione (arrivato qui passando con mestiere dal tormentato Mattia di La solitudine dei numeri primi al transessuale Roberta di L’ultimo terrestre); Thony (nome d’arte di Federica Victoria Caiozzo) invece è una scoperta, in particolare per la voce (nel film si citano non a caso Cat Power e P J Harvey), che sa racchiudere in sé una sensualità mediterranea e un’espressività verace. Due note finali: Virzì rimane comunque uno dei pochi registi in grado di far sorridere e piangere con la stessa scena (durante un momento d’intimità tra i due protagonisti); la canzone che si sente sui titoli di coda prende il nome dalla stesso film, ed è stata utilizzata per promuoverlo.