È l’antitesi di un abito “alla moda”, ma visto che la indosso tutti i giorni, voglio dedicare un post a lei, all’uniforme. La mia da Gallery Assistant è nera, con la camicia bianca e il cravattino grigio. La stessa che indossano quelli della security che lavorano all’interno delle mostre temporanee, ma loro hanno la cravatta arancione. Quelli del museo accanto hanno la cravatta viola per distinguerli da noi. Siamo tutti uguali ma diversi. Soprattutto siamo immediatamente riconoscibili. Almeno questa è l’intenzione, anche se dato il numero di persone che quotidianamente mi chiede “Scusi, ma lei lavora qui?” mi sorge qualche dubbio. Comunque.
La definizione che il vocabolario da’ dell’uniforme è “abito uguale per tutti coloro che fanno parte di un corpo, di un collegio, di una milizia”; il termine “divisa” è spesso utilizzato come sinonimo di uniforme. In inglese esiste solo il termine uniform, mentre l'italiano divisa si traduce più come livrea.
Sta di fatto che indossare un uniforme non è mica cosa da poco: una divisa comporta certi doveri (comportarsi in un certo modo, non fare o dire cose che possano screditare l'organizzazione etc etc etc) e nel mio caso, pochi diritti che al contrario di quelle militari che ispirano rispetto e soggezione, le uniformi del personale civile sembrano essere un invito agli abusi da parte del pubblico. Chi lavora al Mac Donald's ne sa qualcosa.
Nella mente di Robert Baden-Powell, il fondatore degli Scouts, “l'uniforme cela tutte le differenze di condizione sociale in un paese e favorisce l'uguaglianza; ma, cosa ancor più importante, copre le differenze di nazionalità e razza e fede, facendo sì che tutti si sentano appartenenti ad un'unica grande fratellanza.” Per questo stesso motivo in Gran Bretagna le uniformi sono d'obbligo anche nelle scuole dove la divisa scolastica ha lo scopo di caratterizzare gli studenti appartenenti allo stesso istituto, e contemporaneamente evitare che il vestiario individuale utilizzato possa rendere evidente l'appartenenza degli studenti stessi a classi sociali diverse (anche se la differenza di classe e di scuole appare evidentissima nella qualità e nei materiali delle uniformi, e questo è di per sè una contraddizione...). O per i partecipanti al torneo di Wimbledon che devono indossare divise bianche per rispettare una tradizione che risale al 1877 (anche se non sono sicura l’idea di fondo si quella dell’uniformità).
Ma anche gli sportivi indossano una divisa, che in inglese si chiama kit- inteso nel senso di attrezzatura vera e propria oltre che di abiti. Ogni disciplina infatti prevede una propria divisa fatta elementi diversi a seconda dell’sport praticato; divisa che deve permettere libertà di movimenti, e nel caso degli sport di squadra deve permettere di riconoscere facilmente i propri compagni a distanza. E in questo non molto è cambiato dall’uniforme militare...
E buffo come tra colleghi siamo talmente abituati a vederci in uniforme che quando capita di andare al museo in borghese fatichiamo a riconoscerci a prima vista, al contrario della popolazione degli uffici per cui noi delle gallerie esistiamo solo quando siamo in borghese (e indossiamo il pass che ci rende appartenenti alla stessa organzizzazione), ma che altrimenti non nota altro che l'uniforme e non la persona che la indossa. Curioso...