Londra. È una fredda sera d’inverno, l’umidità ci ha trapanato le ossa e ora sosta lì, tra un’articolazione e l’altra, cercando di farci ammalare; ma ecco, svoltato l’angolo, una piccola e deliziosa libreria ci sorride ammiccante. Entriamo nel negozio assaporando l’atmosfera pacifica che si respira tra gli scaffali. Cosa cerchiamo? Mah, qualcosa di non impegnativo…un romanzo d’evasione, che però ci tenga incollati alle pagine…un giallo! Sì, ci vuole proprio un giallo. Allora ci rivolgiamo al negoziante in cerca di aiuto e gli chiediamo se può consigliarci un bel romanzo giallo. Giallo si dice “yellow”, giusto?…Sì, sì! Con un bel sorriso domandiamo:ha qualche “yellow book” da consigliarci?
Il negoziante, che aveva a stento alzato la testa, ora ci guarda dritto negli occhi; lo vediamo mentre ci scruta da capo a piedi, si accarezza il mento con le dita, si gratta in testa e tergiversa per qualche secondo. Poi domanda: «A yellow book?», scandendo bene le parole. Glielo confermiamo, esultanti, fieri di esserci fatti intendere. Trascorre qualche lungo istante di silenzio; quindi, il negoziante si volta e marcia verso gli scaffali con aria perplessa.
Da qualche parte nell’universo parallelo delle lingue, l’italiano e l’inglese cominciano a prendersi a cazzotti. Sì, perché “yellow book”, in inglese, non vuol indicare niente se non il fatto che un libro è giallo: forse è gialla la copertina o magari sono gialle le pagine o tutte e due, ma il genere del romanzo non ha nulla a che vedere con tutto questo. In inglese, infatti, “libro giallo” è da tradurre con “thriller” o al massimo “detective story”; “spy novel”, magari, se quello che cerchiamo è un romanzo di spionaggio.
La mancata corrispondenza fra le due lingue, l’italiano e l’inglese, dipende dal fatto che ciascun idioma è essenzialmente il prodotto degli usi e costumi, dei retroterra storici e culturali di ciascun popolo, di ciascuna comunità linguistica. Se i thriller si chiamano “libri gialli” in Italia, il motivo si spiega con il fatto che la copertina dei romanzi polizieschi pubblicati dalla Mondadori era, per l’appunto, gialla. Tutte le lingue, dunque, avranno modi di dire peculiari (le cosiddette “espressioni idiomatiche”), motti e proverbi che ne costituiscono l’essenza inimitabile; così, se nella scorsa puntata ci siamo concentrati sull’inglese per scoprire come alcune espressioni potevano essere tradotte in italiano, stavolta procederemo in senso contrario: dall’italiano all’inglese. Mettendo da parte la disavventura in libreria, ecco una carrellata di esempi.
Luce dei miei occhi. Tradotta letteralmente: “light of my eyes”.
Espressione alquanto sdolcinata che indica quanto qualcuno sia meraviglioso e importante per noi. In inglese non c’è nessuna luce negli occhi dell’ammiratore, bensì…una mela. Poiché, anticamente, la parola inglese “apple” (“mela”) significava anche “pupilla”, l’espressione in uso ancora oggi sarebbe da tradurre “pupilla del mio occhio”. Il termine italiano “pupillo” può forse avvicinarsi a questa definizione, ma tendenzialmente indica il favorito di qualcuno; con “luce dei miei occhi”, invece, il significato risulta più ampio. In inglese, allora, sarà: “apple of my eye”.
Rompere le scatole. Tradotta letteralmente: “to break one’s boxes”.
Decisamente non la più gentile delle espressioni, ma usata (e pensata) spessissimo nell’italiano di tutti i giorni. In inglese non ci sono scatole da rompere e in verità il modo di dire non trova un corrispettivo perfetto nella lingua della Regina. Il verbo “to bother”, “disturbare”, è probabilmente troppo blando per veicolare appieno la seccatura di colui a cui stiamo rompendo le scatole; mentre il verbo piuttosto colorito “to piss off” va un po’ più in là della seccatura, avvicinandosi quasi alla rabbia. Anche il più diplomatico “to get on someone’s nerves” (“dare sui nervi a qualcuno”) potrebbe essere usato a proposito, ma, ovviamente, sarebbe il contesto in cui è inserita l’espressione a suggerirci, alla fine, la scelta più appropriata e rivelarci quanto sono rotte le scatole del poveretto in questione.
Avere un bel fegato. Tradotta letteralmente: “to have a nice liver”.
Apparentemente un complimento che potrebbe farci un medico, “avere un bel fegato” nella maggior parte dei contesti equivale ad “avere una bella faccia tosta” e non è di certo un complimento come potrebbe esserlo semplicemente “avere fegato” ovvero “avere coraggio”. In inglese invece di un bel fegato hanno delle belle budella; anzi, per essere più precisi, “alcune budella”. Evidentemente gli amici del Regno Unito ritengono che non ci sia nulla di più sfrontato, nel nostro corpo, delle budella. L’espressione sarà tradotta con: “to have some guts”.
Chiudi il becco. Tradotto letteralmente: “close your beak”.
Incitamento poco gentile a stare in silenzio. La metafora con gli uccelli non è presente in inglese, che in questo caso non si perde in troppe ciance e impone semplicemente: “sta’ zitto” o “chiudi la bocca”. Pertanto, “shut up” o “shut your mouth”.
Andare al sodo. Tradotto letteralmente: “to go to the firm ground”.
L’espressione, che nulla ha a che fare con terreni sodi o uova sode, vuol dire “andare al punto”. In effetti, “andare al punto” è perfettamente traducibile in inglese con “to get to the point”; ma se vogliamo conservare una nota di particolarità nell’espressione, diremo “to cut to the chase”, che letteralmente significa “tagliare fino all’inseguimento”.
Questo modo di dire incomprensibile per noi italiani ha origini cinematografiche: si riferisce infatti all’espressione “cut!”, “taglia!”, che i registi urlano sul set quando si è finito di girare una scena. L’ “inseguimento”, invece, si riferisce a una delle scene potenzialmente più interessanti di un film, come può esserlo per esempio in un film d’azione. “Tagliare fino all’inseguimento” vorrebbe dire, in sostanza, saltare i preamboli e andare direttamente alla scena più emozionante di una pellicola; oggi l’espressione è usata come un perfetto equivalente di “andare al sodo”.
Non stare né in cielo né in terra. Tradotto letteralmente: “to be neither on earth nor in heaven”.
Se qualcosa non sta né in cielo né in terra, non si capisce in quale altro posto potrebbe essere; e in effetti, se diciamo a qualcuno che quello che sta dicendo non sta né in cielo né in terra, è perché lo riteniamo un’enorme sciocchezza, qualcosa di impossibile. Gli inglesi, meno melodrammatici di noi, optano per il più semplice “né qui né lì”; allora sarà: “to be neither here nor there”.
Naturalmente, così come ci sono espressioni italiane che tradotte letteralmente in inglese non vogliono dire assolutamente nulla, è anche vero il contrario. In molti casi infatti avremo fortuna e potremo dire tranquillamente: “never say never” per “mai dire mai”; “hand in hand” per “mano nella mano”; “to jump to conclusions” per “saltare alle conclusioni”; “under control” per “sotto controllo”.
Molto spesso, però, come si è visto, la fortuna non sarà dalla nostra parte e dovremo armarci di un buon dizionario per risolvere il problema. Nel frattempo, mentre l’inglese e l’italiano continuano a picchiarsi selvaggiamente a pochi passi da noi e, acquisita la consapevolezza che non tutti i thriller soo gialli, accontentiamoci di tornare a casa con il nostro bel libro dalla copertina giallo canarino.
Alla prossima puntata!