- coloro che si protestano nostri amici e spariscono quando ci serve aiuto;
- coloro che chiacchierano di valori, di morale, di princìpi e non li mettono in pratica;
- coloro che condannano i peccati altrui in pubblico e ne commettono di identici in privato.
Voltaire era un ipocrita? Esaminiamo la vicenda.
Il principio di tolleranza dice che dobbiamo convivere in pace con i nostri concittadini. La conseguenza pratica è che non dobbiamo perseguitare chi ha opinioni errate o modi di vita immorali. è una conseguenza controintuitiva, perché il nostro istinto davanti agli errori e ai peccati è mettere le mani addosso a chi li commette: schiaffeggiamo i bambini che sbagliano e diciamo “ti picchierei” agli adulti che prendono granchi.
Ci sono molti argomenti a favore del principio di tolleranza, il più ovvio dei quali è che ciò che ci pare errato o immorale potrebbe essere vero e giusto. Fu l’argomento favorito di Voltaire, che consumò barili di inchiostro per denunciare la fallibilità umana e ricordarci quante volte mutiamo parere su materie che all’inizio ci erano parse certissime. “Siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdoniamoci reciprocamente i nostri torti, è la prima legge di natura”, scrisse alla voce “Tolleranza” del suo Dizionario filosofico.
Voltaire consumò altri barili di inchiostro per accusare le religioni di essere la maggiore causa storica dell’intolleranza, citando a testimonianza gli eccidi commessi dai pii cristiani, dai musulmani devoti e da altri credenti entusiasti contro gli infedeli da convertire. Amante dei costumi inglesi, Voltaire era solito paragonare i francesi oppressi dai preti e dai regnanti ai vicini felici d’oltre Manica. Sempre nel Dizionario filosofico, il personaggio Boldmind dice: “Sono i tiranni delle menti a causare una parte delle sventure del mondo. Noi, in Inghilterra, viviamo felici solo da quando ciascuno gode liberamente del diritto di dire la sua opinione”.
Ora, la rivalità fra Voltaire e Rousseau nasceva più da rancori personali che da questioni di opinione. C’era il poco riguardo che Rousseau, un giovane, mostrava verso Voltaire, che si riteneva a buon titolo un gigante. C’era la sicumera di Voltaire, che aveva un suo modo sarcastico e feroce di irridere chiunque non gli piacesse. C’erano le manie di Rousseau, un ombroso che scovava nemici anche nella minestra. C’erano anni di liti pubbliche fra i due. Quando Rousseau svelò che Voltaire era l’autore segreto del Sermone dei cinquanta, un colpo sotto la cintola, la rivalità degenerò. Mi immagino Voltaire che, dopo aver letto le Lettere scritte dalla montagna, cammina avanti e indietro nel suo studio e fantastica di strozzare il rivale.
Però in quel momento Rousseau era uno scrittore perseguitato. Forse sarebbe stato troppo chiedere a Voltaire di soccorrere chi gli stava mordendo la mano, ma è disonorevole che abbia messo legna sul fuoco dell’intolleranza dei ginevrini. Voltaire chiese al Piccolo Consiglio di agire contro Rousseau a causa delle sue opinioni religiose e politiche, non per diffamazione (come avrebbe potuto, in risposta all’accusa di avere scritto il Sermone). L’avvocato della tolleranza scelse gli aggettivi “blasfemo”, per eccitare il fanatismo popolare, e “sedizioso”, per provocare la repressione delle autorità. Infine, suggerì ai ginevrini di condannare a morte Rousseau, che è come se oggi il papa suggerisse ai terroristi islamici di uccidere un vescovo cattolico di cui ha bisogno di liberarsi.
A Voltaire non dovette sfuggire la contraddizione fra le sue azioni e i suoi princìpi ufficiali, se pubblicò I sentimenti dei cittadini anonimo. Potreste anche domandarvi perché Voltaire fosse in contatto cordiale con devoti cristiani di Ginevra che, prima di Rousseau, avevano perseguitato altri scrittori.
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