Signore, siamo tutti di fronte alla storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Inorridito dall’umiliante povertà del mio popolo, che pure vive in una terra ricca, angosciato per la sua emarginazione politica e per lo strangolamento economico di cui è vittima, indignato per la devastazione del suo territorio, che ne è il patrimonio fondamentale, deciso a preservarne il diritto non solo alla vita, ma a una vita decente, e determinato a introdurre in questo Paese un sistema equo e democratico che protegga tutti i gruppi etnici e ci permetta di partecipare a giusto titolo alla civiltà umana, ho investito le mie risorse intellettuali e materiali, tutta la mia vita, in una causa in cui credo ciecamente e per la quale non posso accettare ricatti o intimidazioni. Malgrado le traversie e le prove che dovrò affrontare insieme a coloro che intraprenderanno con me questo viaggio, non nutro alcun dubbio sul fatto che alla fine ce la faremo. Né la prigionia, né la morte potranno impedire la nostra vittoria.
Queste sono le parole (che non non gli permisero di leggere) con cui Ken Saro-Wiwa tenta di costruire la propria difesa al processo che in Nigeria lo condannerà a morte.
Ken Saro-Wiwa si è battuto per i diritti degli Ogoni, il suo popolo. L’arma che ha usato è stata la parola. Una parola forte che è stata capace di unire le persone e smascherare le ipocrisie. I suoi discorsi e la notorietà tra la gente lo hanno reso bersaglio principale del governo militare nigeriano che ne ha decretato la morte. Fisica.