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Tutto come sempre, niente come prima

Da Miwako
Giro la chiave nella serratura ed entro in casa. Buio assoluto, silenzio pure. Accendo la luce. Sorrido d'istinto, abbracciata da tutte quelle cose che conosco così bene. Senza neppure togliermi il cappotto, mi siedo sul divano verde e inizio a rovistare in mezzo a ciò che sono tornata a prendere. Tecnologia e libretti d'istruzioni. Concentrata, leggo, sfoglio,configuro, fumo. Dopo un paio d'ore, qualcosa di indefinito mi spinge ad alzare lo sguardo, e mi accorgo che le cose hanno cambiato posto. Non un libro, due cuscini, un candelabro. No. Lo stesso divano della mia bisnonna, lo stesso su cui siedo, non è dove stava l'ultima volta che sono stata qui. La poltrona verde giace ora in mezzo alla stanza, assurta a pensatoio solitario, a ridosso della lampada. La poltrona marrone si è sdoppiata, come per mitosi, piuttosto che per magia. Ora sono due, a concludere quella curva ad "U" formata dal divano blu e dal divano verde. E ci sono due tavolini al centro. In conflitto, apolidi, che sembrano fuori posto un po'ovunque, in questa stanza troppo affollata di oggetti inanimati. Sorrido di nuovo. Da più di un anno a questa parte, ogni volta è la stessa storia. Sto via per un po' , torno a trovare i miei, e la disposizione della sala è immancabilmente cambiata. Puntualmente, non c'è stata volta in cui non sia accaduto. E' una sensazione buffa, tornare ogni volta in una casa diversa nonostante sia la stessa.Questa volta, anche più delle altre, le cose sono diverse. Ed io, non me ne sono accorta. Ho seduto qui per due ore buone, senza notare niente. Abbiamo pure la caldaia rotta, e ci fa un freddo cane in questa casa, ora che l'inverno ci ha sorpreso con i calcagni scoperti. Non so esattamente cosa spinga i miei a cambiare di continuo. Di certo, so che ci sono troppi mobili in questa stanza. Tre poltrone, due divani, tre tavolini, due tavoli importanti, un cassettone, un altro mobile a cassetti e la libreria. E poi i quadri, i libri sparsi, i computer, le anticaglie in peltro, le chitarre. Per un po' , devo ammettere, è stato destabilizzante ritrovarmi di continuo a dover riabituare l'occhio. Poi, la paradossale consuetudine che anche un cambiamento continuo può portare con sè, ha preso il sopravvento. Ora la situazione è rovesciata. Se torno a casa e le cose cambiano, non ci faccio neppure caso; mentre se rimangono uguali a sè stesse, mi accorgo immediatamente che c'è qualcosa di inusuale.
Scruto attentamente questo insolito paesaggio noto, e rifletto sulle persone che abitano questa casa, perennemente in transito, anche mentre sembrano immobili; magari è una perdita di caos. Il marasma che si agita dentro ognuno di noi, sfonda gli argini e sfoga in un banale remake degli spazi abitativi. L'inquietudine, la pacatezza, il bisogno di cambiare pur mantenendo un fil rouge che congiunga il domani a ciò che era ieri, come uno stuolo di leggi autoctone vergate su post-it appiccicati in cucina, su cui si legge in una lingua comprensibile solo a noi, che tutto è un continuum, che possiamo stare tranquilli, cambiare rimanendo sempre gli stessi, in equilibrio tra il filo del bucato e quello della corrente elettrica.Piccole dosi, mi dico.Smetto di scrivere, apro la finestra e lascio entrare il gelo umido di queste lande nebbiose, piovose che mi porto nel DNA. Fumo. Di nuovo. La carta si estingue, lenta, inesorabile, bruciata dall'aria, dal mio respiro. Stavolta è lei a darmi la misura del tempo che mi scorre addosso e si porta via un po' di me. Giace qui, il senso di questa incursione notturna tra queste mura piene di cose messe a caso, nell'ultima sigaretta di Zeno, nel cumulo di cenere brizzolata che ha dato retta a Newton e si è ammassata sul davanzale, a venti centimetri in linea retta dalle mie dita, nel prima e dopo che è, universalmente, un divenire.Continuum. Lo ripeto, come un mantra, chiudo la finestra e vado a dormire.

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