Dormo poche ore. Mi sveglio di soprassalto. Allungo una mano verso l’interruttore. Salta la corrente.
L’anno nuovo inizia magnificamente.
Meno di cinque ore fa ho avuto l’ennesimo litigio con Gabriele, un litigio a distanza – of course. Mi dispiace? Non lo so. Come mi sento? Disperata. Forse.
Ripristino la corrente. Due lampadine saltate. Ottimo. Accendo la tivù a dita incrociate, non ho altre lampadine di riserva. Stanno trasmettendo il concerto di Capodanno, tra un po’ il pubblico inizierà a battere le mani, tenendo il tempo come lo tengo io quando faccio spinning – cioè andrà fuori tempo; però è sempre bello guardarlo. I bisogni primari, dopo il risveglio complicato, iniziano a bussarmi al cervello. No, non ho fame. Piuttosto, realizzo che non scopo da due mesi. Mi sono arresa all’evidenza che, con chiunque io possa andare a letto, finirei col pensare a Gabriele. E scopare con la mente occupata sarebbe come non scopare affatto.
La notte appena trascorsa la ricordo a tratti. Cena tra amici. Per alcune ore ho fatto finta di essere una ragazza allegra e normale. Si è presentata l’opportunità di non svegliarmi da sola il mattino dopo; ne ho valutato i pro e i contro e mi sono scoperta irrimediabilmente stanca: spossata all’idea di ricominciare daccapo, con qualcun altro – qualcuno che non sarebbe mai stato Gabriele.
Ore dopo, mi sono ritrovata a ballare nella penombra di un locale. Doveroso cocktail stretto tra le dita. Solite scene. Un tizio mi ha guardato. Io ho sostenuto il suo sguardo e gli ho sorriso. Abbiamo ballato insieme. Si è avvicinato per baciarmi. L’ho bloccato. Andiamo fuori a fumare, ho detto. Pochi istanti dopo, ci siamo ritrovati al freddo. A scaldarci solo la sigaretta, per quanto possibile. Lui è rimasto in silenzio. Non ci siamo ancora presentati, né lo faremo dopo. Ho aspirato una prima boccata: Non è Gabriele. Seconda boccata: Però potrei almeno baciarlo, giusto per vedere che succede. Alla terza boccata, mi sono decisa a parlargli: Credo che tu sia inciampato nell’unica ragazza in tutto il locale che stanotte non ha voglia di essere baciata. Inaspettatamente, non mi ha mandato affanculo. Ha detto soltanto, sorridendo: Sono fortunato, che vuoi farci. Ancora altro silenzio. Poi, ha ripreso: Quali sarebbero le tue aspettative per stanotte? Ho risposto senza pensarci: Non ne ho, né per stanotte, né per il futuro. Lui mi ha guardato, ha tirato l’ultima boccata e gettato il mozzicone: Come vuoi, ha detto. Si è avvicinato, mi ha baciato su una guancia ed è rientrato. La voce squillante di Dona mi ha riportato nel mondo. Mi sono ritrovata con la sigaretta spenta tra le dita, i polpastrelli congelati. Non so quanto tempo fosse passato: ero rimasta immobile, persa chissà dove. Dov’eri finita? Ho visto il tipo che avevi rimorchiato: pomiciava con un’altra. Mi sono preoccupata, ha detto Dona e ha agitato una mano davanti al suo naso, come se la mia sigaretta fosse ancora accesa.
Un’ora dopo, io e Dona siamo in macchina. Mi fanno male i piedi. Per le strade non c’è nessuno. La guida scivola via veloce. Dico: In fondo, non è poi difficile rimorchiarli. Li guardo negli occhi, gli sorrido. L’alcol fa il resto. La parte difficile è quando siamo faccia a faccia, ci guardiamo da vicino e penso “Non è Gabriele”. Loro non hanno i suoi occhi dorati né quel suo modo di sorridere. E allora, mi rendo conto che con loro non potrà esser lo stesso né sarà meglio.
Dona osserva: Ma Alessio ti piaceva, no?
Alessio mi è sempre piaciuto. Mi piace ancora. Ritrovarlo è stata una sorpresa. Però, non so, affermo pensierosa. Non sono capace di terminare la frase. Mi ritrovo nell’alba scura di un nuovo anno. Poco dopo, vado a dormire, non sono triste, solo, non riesco a realizzare come mi senta o cosa stia provando.
Dormo poche ore. Mi sveglio di soprassalto. Tra pochi istanti, farò saltare la corrente. Un anno di disastri annunciati o soltanto la mia paranoia?
Mi alzo imprecando. Ho un’unica certezza. Oggi è il primo giorno di nulla.