La Giulietta spider parcheggiata di fronte il varco d’uscita dall’aeroporto aveva ancora il posto passeggero leggermente inclinato all’indietro, così come Giulia l’aveva lasciato l’ultima volta.
“Andiamo?” “Andiamo”.
Marco è intento ad aprire il suo sportello e non guarda il sorriso che si apre sulle labbra di lei, nel notare quel piccolo particolare che è come dire, non è cambiato niente, tutto è più chiaro da qui.
Poco prima rapiti l’una sotto le ali d’acrilico dell’altro, accoccolati e con le teste vicine e sognanti, Giulia ha intorno al suo cuore le braccia di Marco.
Poco prima che il suo volo atterrasse a Brindisi le era riaffiorato un ricordo puerile dei tempi del liceo, quando sognava di viaggiare in giro per il mondo ma solo per poter provare tutte le prime colazioni di buona mattina, in tutte le città dove avrebbe attraccato le sue gambe di falco.
Ora quella sterminata sequenza di bar e caffè stranieri, di thè bollente e tintinnii di stoviglie e torte fumanti, odorava di uno stantio e stucchevole umido di prigionia.
Ora che Giulia era costretta a prendere 3 aerei a settimana, e delle città toccate non aveva visto nulla, se non enormi mammut di cemento che si ergevano sui cieli stranieri, e ogni città era uguale l’altra vista da li.
Come benzina sullo stomaco.
Era impaziente e stanca, e voleva scendere da quel rapace di latta e giungere in fretta a casa, tra le cose ormai ridotte ad una quotidianità solo raccontata, perché da tempo estranea e sporadica.
Scalette, porte in movimento, bambini urlanti, rotelle da bagaglio a mano e gesti frenetici. Rumori distratti e impazienti. Si apre la porta scorrevole: EXIT, e Marco davanti a lei.
Giulia non afferra nell’immediato la ragione di quella sagoma, li, come una polaroid istantanea, e sente emergere una miscela di labbra e stupore sul suo viso, mentre fissa lo sguardo sul suo sorriso sornione e autentico, ladro di ogni suo desiderio non espresso.
“Ho lasciato il tuo vecchio a casa”. “Come stai, streghetta?”
Un bacio caldo, di fragole al sole, gli occhi chiusi e un abbraccio forte. Giulia che si abbandona nel corpo di Marco, esausta, come se fosse l’unica cosa utile da fare.
Restano così, legati a vista, stretti.
Il trolley gettato per terra, le mani di Marco che giocano con le pieghe della sua schiena, Giulia che sorride nascosta in quella che appare una tana immediata, sul petto di acrilico e calore, serena.
“Dove mi porti?” Giulia adagiata nell’auto, intenta a sollevare lo specchietto retrovisore verso il lato giusto.
“Dove non ci possono trovare”, risponde Marco.
Si guardano, e in quell’attimo si ripete una storia già vista ma che riesce a mantenere il suo autentico fervore, non servono parole condite, barocchismi locali, frasi d’effetto. Servono 2 paia di occhi, e tutto l’amore che scorre, in quel lascito di mezzo.
La strada è rovente di cemento ebro di sole e pneumatici, la giulietta si muove sicura mentre Giulia si accende una sigaretta, distende le gambe e getta la testa indietro, posandola, decisa,sulla parte superiore del sedile.
Marco la guarda: guarda la linea del suo corpo, armonica ed elegante come un puma selvatico, si sofferma sui suoi capelli arruffati, che Giulia ha prontamente sciolto con un fare da cinema, cerca il suo neo sotto l’occhio destro, cerca le sue mani che odorano di tabacco e di notti insonni. Marco ama quella ragazza, in tutta la banalità e il ridondante suono che quella parola comporta.
Le indicazioni stradali conducono verso l’entroterra salentino, Campi, Guagnano, Salice, San Donaci, Nardò un mosaico di pietra marmorea, terra rossa e foglie di ulivi che colorano di un verde acre l’aria intorno.
Una terra selvaggia, preziosa, con il sole che fa l’amore con il mare che si scorge da li a poco, in questo matrimonio esoterico e carnale, un matrimonio benedetto dal vino che ne sancisce l’essenza, che scorre come una cascata di vita tale da rendere immortale ogni corpo che attraversa quel posto.
Giulia non si cura della destinazione. È in silenzio e con la mente fissata sulle immagini che scorrono in foto-sequenza di fronte a lei. Vento sulla pelle, visioni ardenti di casa, di quella meravigliosa e sconosciuta dimora che vive poco, dentro i suoi giorni, e che si limita a gustarsi per pochi frammenti di tempo, così come succede del resto con ogni felicità autentica. Impregnata di brevità.
Marco è rilassato, e sembra i pensieri che fremono dentro la testa di Giulia.
Lei e la sua ambizione che è divenuto vortice senza ritorno, lui e i suoi sogni di cambiare il verso della loro esistenza ma senza scappare dal luogo dove sono nati e dove si sono amati, crescendo.
Marco è innamorato del Salento tanto quanto lo è di Giulia.
Ha scelto di tornare e reimpiantare radici, di fissarle bene e di ripartire così, come quando si ricomincia una storia dopo copiosi distacchi e vesti scucite dall’usura e dai litigi.
Ricominciamo sempre.
Marco questo lo sa, e non si cura del fatto che Giulia è distante per accadimento, che il loro amore è stretto tra telefono e circuiti telematici, che ogni aereo o treno calcato e preso, ha scandito gli anni in cui si sono ritrovati amanti fuggiaschi e complici insaziabili, nonostante tutto.
Giulia tornerà, ha sempre pensato Marco, e non lo farà per lui, ma per se stessa. Lo farà quando ammetterà che essere forte non significa trattenere ogni spiraglio di inevitabile cedimento, di forzare la presa e andare in direzione ostinata e contraria rispetto a un’idea di futuro che resta comunque incerto.
Giulia tornerà, perché dietro il suo cuore corazza tutte le crepe che iniziano a marcarlo gridano all’unisono: lascia che sia. Lasciati andare.
Giulia afferra la mano di Marco appoggiata al pomello del cambio. La stringe con la sua solita intensità che è tutto, che è potente e su cui sono disegnati gli intensi gradi di emozione che la ragazza riesce a rendere, tutte le sfumature di amore che lei è in grado di spiegare, e tutto questo incalza il perché Marco non mollerà mai la guida, della loro favola in due.
Sono quasi arrivati, la strada è diroccata e increspata, come il rumore delle onde marine che Giulia riesce a sentire in lontananza, ma fremono la loro presenza.
Marco inizia a rallentare e dà occhiate veloci verso il ciglio per tentare un parcheggio alla buona, li dove l’unico parchimetro possibile è una duna di terra ruggente scaldata dalla luce tersa del pomeriggio.
Si fermano. Giulia alza lo sguardo e vede di fronte una distesa di vigne, un quadro vivente in cui schizzano perle di uva violacee e intrecci di viti come a ricamare bellezza.
È calma, e piena di pace. Ritorna con lo sguardo su Marco che intanto è sgusciato dall’auto e in procinto di aprire il portabagagli. Da li afferra e solleva due calici di vetro, una bottiglia di Negramaro, il preferito di Giulia, di quel rosso violento e profumato, come lo sono quei minuti in cui lei comprende quanto sia vicina alla perfezione, e di come tutta la stanchezza e l’instabilità macinata fino ad allora, sia stata risucchiata dalla visione di ambra e carezze dei gesti di Marco.
Incalzante, quel battito di cuore, quell’appagamento ricorrente, quell’amore livido e potente, quell’amore che brucia come brucia la sua appartenenza al panorama che le gira intorno, al natio Salento, che brucia come brucia l’uva di settembre, come brucia la pioggia ingrata delle giornate di sole mai spento, come brucia quella voglia di fare l’amore distesi a sporcarsi, ebbri di vino e passione.
Lontani dal tempo e dai pensieri infami. Marco sostiene il capo di Giulia tra il gomito e il braccio. Lei è piegata verso di lui completamente scollegata da ogni turbamento terreno, sospesa in un sogno carnale dentro la loro dimensione attuale.
Mentre lui sta per schiudere le labbra e dire qualcosa, Giulia lo coglie con dolcezza di fata e lo blocca.
“Non dire niente. Ogni parola avrebbe l’odore malvagio del vino infettato dal tappo. Non una parola. So che aspetterai. So che non avrai fretta e che sarà bellissimo così.”
Marco ammutolisce. Sazio di lei e di quell’unione bagnata dal fascio d’arancio di un tramonto scagliato sopra i loro corpi, e si copre di un dolce silenzio.
Si rimane scottati e puri di fronte agli amori frugali ma saldati oltremodo, si resta ad ammirarli senza disturbare, si attende che le loro mosse possano fare da testimone alle nostre più recondite brame, ai nostri film d’autore, a tutto quello che serve per non desistere nel desiderare che una storia comune diventi un romanzo da sfogliare e consultare con cura, per estrarre le citazioni necessarie all’occorrenza.
Giulia lo sa. E il suo posare la lente a ricercata distanza sull’anima di Marco vale ogni risposta agli eterni dubbi di chi non ha posto un freno al mancato accontentarsi di godere dell’essenziale, di ubriacarsi di quello che non si può ostinatamente cercare perché già c’è, anche quando non ne siamo consapevoli perché malati di una profonda cecità di vivere.
Giulia tornerà, prima o poi, perché adesso tutto è fin troppo chiaro, da qui.