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Tutto esaurito per i disabili. Non sono più giochi diversi

Da Terzosettoresocialnetwork @TerzoSettoreSN

Tutto esaurito per i disabili. Non sono più giochi diversiPancalli, vicepresidente Coni: «Il raduno per sfigati ora è un evento planetario»

Marco Ansaldo
Torino

Luca Pancalli, il vicepresidente del Coni, racconta che quando partecipò alla prima delle sue quattro Paralimpiadi da atleta la cerimonia di apertura fu organizzata in uno stadiolo alla periferia di Londra e vi parteciparono, sì e no, 400 persone. «Era il 1984 - ricorda - e sembravamo i partecipanti a un raduno di sfigati». Los Angeles, che in quell’anno ospitava la ventitreesima edizione dei Giochi, non aveva neppure recuperato i soldi per allestire le gare dei disabili, dirottate in Inghilterra. Il Cio era disattento. Gli sponsor disinteressati. La stampa sportiva faticava a trovare le poche righe per pubblicare i risultati, chi se ne curava non sfuggiva alle storie pietistiche sugli «eroi sfortunati e coraggiosi». La tv non c’era. L’immagine che si trasmetteva, e non soltanto in Italia, era di un circo Barnum cui avvicinarsi con un miscuglio di morbosa curiosità, un filo di raccapriccio e l’indignazione per la disabilità esibita mascherata dietro al compassionevole: «Poverini». Faticavano a cedere le barriere psicologiche nella società, nella scuola, sui posti di lavoro. Figurarsi se le abbatteva lo sport. «Per quelle generazioni, chi stava su una carrozzina era meglio se rimaneva in un angolo, con la copertina sulle gambe. Altro che usarla per giocare a basket o per sfidarsi in velocità sulla pista di uno stadio», ricorda Pancalli.
Non sappiamo quanto di quella mentalità sia davvero scomparsa. Nè quanto pesi la finzione in nome del «politically corrett»: se in Pistorius e nei campioni più conosciuti come Alex Zanardi la gente ormai veda esclusivamente l’atleta o restino le scorie di un’attenzione pruriginosa per il caso umano. Sta di fatto che a ventotto anni dall’episodio di cui parla il numero due dello sport italiano, Londra riospita le Paralimpiadi e gli scenari sono profondamente diversi, come tra le cabine telefoniche che si frequentavano allora e il cellulare che tutti teniamo in tasca. Domani l’inaugurazione dei Giochi per i disabili avverrà nello stesso stadio e le gare si disputeranno negli stessi impianti che fino al 12 agosto sono stati il teatro dell’Olimpiade. I numeri sono lontanissimi dal «raduno di sfigati»: 166 Paesi rappresentati, 4200 atleti, milioni di sterline investite nelle attrezzature e nel riadattamento delle piscine e dei palazzetti. I biglietti sono quasi completamente esauriti, la visibilità si è moltiplicata con un trend che in proporzione supera quello dei Giochi degli «abili».
Le Paralimpiadi di Londra saranno un grande evento che fornisce ancora le storie personali ma anche risultati, prestazioni e record di cui parlare come di qualunque avvenimento sportivo. Da Seul, quando Samaranch impose che Olimpiadi e Paralimpiadi fossero ospitate nella stessa sede, la forbice si è ridotta anche perché aveva un’ampiezza insostenibile. «Per noi il fatto più positivo è che, edizione dopo edizione, l’ottica dello spettatore si è spostata: oggi il mio barbiere conosce i tempi e i record delle nostre gare e non credo che lo faccia soltanto perché mi servo da lui», sorride Pancalli. Il «caso umano e patetico» ha meno spazio nella considerazione generale: grazie alla tv è cresciuta la valutazione del disabile come atleta anche se è normale, quasi inevitabile, che le sue imprese siano guardate con stupore. Trent’anni hanno modificato il rapporto quotidiano con la «diversità» sportiva. E hanno cambiato contemporaneamente l’approccio dei disabili ai Giochi. Pure questo è diventato un mondo di esasperata e ossessiva competitività, fino all’estremo di barare sulla consistenza del proprio handicap o di frequentare scienziati discussi o di usare il doping per incrementare le prestazioni. Nella ricerca dell’omologazione all’Olimpiade se ne sono persi anche gli aspetti discutibili. La commercializzazione e gli interessi economici hanno portato ad esempio ad allestire un programma in cui le gare dei disabili un po’ meno disabili, quindi più vicine alla «normalità», sono collocate negli orari di maggiore audience televisiva, perché agli sponsor piace così: insomma si sta creando silenziosamente una Paralimpiade di serie A e una di serie B in cui si confinano gli atleti meno «presentabili» al grande pubblico, esattamente l’antitesi alla filosofia dell’uguaglianza tra chi vive in una condizione di disabilità più o meno pesante che sia.

lastampa.it


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