Credo di aver scritto più volte da queste parti di come la musica sia stata una delle mie maggiori delusioni. Da adolescente ho avuto la passione per la musica metal ed ho anche provato a tirar su una band, esperienza andata poi a finire in maniera a dir poco disastrosa, senza contare che crescendo ho cominciato a percepire nell'ambiente rock, la musica che rivoluzionaria e di protesta per eccellenza, una pochezza di contenuti a dir poco esorbitante. Cosa distingueva quindi chi ascoltava gli Ac-dc da uno che ascolta la tunza-tunza? Fondamentalmente nulla. Alla fine pure quelli musicali sono solo insiemi che, come tutte le etichette, servono solo a far sentire diversi coloro che alla fine sono uguali a tutti gli altri. E anche se ho scritto un racconto per un raccolta a tema musicale - Musica in lettere - ogni tanto mi viene da pensare a tutto questo, venendo anche alla semplice conclusione che io sono fatto in maniera tale che la musica posso solo ascoltarla, non suonarla. E forse per ripicca personale, oltre che per un banalissimo discorso meta-artistico, non riesco a digerire particolarmente i film che parlano di musica e di gente che vuole suonare. Il che mi rende molto ipocrita, perché amo il Rob Zombie regista, che in qualche maniera anche quando si getta nella settima arte non riesce a staccarsi dal suo personaggio musicale...
Dan Mulligan è un produttore musicale sulla via del tramonto, con un matrimonio fallito alle spalle, il vizio della bottiglia e una figlia che a malapena conosce. Gretta, a dispetto del nome, è una brava ragazza con la passione della musica, trasferitasi a New York con il fidanzato, star musicale emergente, che però l'ha bellamente lasciata. L'incontro fra i due porterà alla nascita di un folle progetto: registrare un album per le vie di New York!
Il discorso meta-artistico consiste nel fatto che l'arte dovrebbe parlare della passione per fare una determinata forma d'arte d'appartenenza. Se quindi faccio un film, dovrei parlare di quanto amo il cinema e se scrivo un libro devo esprimere il mio amore per la scrittura. Se ci pensate, ciò che rende così scarno un film come Storia di una ladra di libri, oltre a una regia abbastanza moscia, è anche il suo essere 'fuori luogo' rispetto al libro, inserito perfettamente in questo discorso. Lo so che forse sono delle inutile pippate da segaiolo, però capitemi: lo stare per gran parte della mia adolescenza a stretto contatto con della gente che non fa altro che parlare di musica, band e Jack Black, ti fa un attimo venire l'orticaria per queste cose. Motivo per cui solitamente non avrei mai scelto di vedere un film come questo ma, complice una voglia di leggerezza e la presenza di quella bellezza sopraffina che è la Knightley (che comunque, bella come sempre, ma che le è successo ai denti?), mi sono fiondato a vedere questo film con la morosa. E devo dire di esserne rimasto sorpreso, perché pur non dicendo nulla di nuovo e senza aver rivoluzionato il mio modo di vedere le cose, è stato davvero molto bellino! Leggero, distensivo e rilassante, tutto questo senza essere banale o con la presunzione di lanciare una moraletta buonista o totalmente fuori luogo. E' semplicemente la storia di due persone che stanno per perdere tutto - ottimo il montaggio della prima parte, che dimostra il trascorso di ambedue con scelte narrative molto interessanti e incrociate - ma che insieme trovano la forza di ricominciare, dedicandosi a qualcosa in cui credono molto. E proprio il ricominciare è il tema portante della pellicola. Il titolo originale infatti è Begin again, che stando a quello che dice Google traduttore significa proprio ricominciare, quindi complimenti ai nostri distributori che hanno scelto un titolo tanto zuccheroso che era uno dei motivi che mi aveva spinto a snobbare il film - anche se a loro discolpa va detto che quelle parole vengono dette verso la fine del film. Dan e Gretta infatti sono due persone che hanno perso tutto ma, insieme, trovano la forza di rinascere dalle proprie ceneri come una fenice, dando inizio a quello che è un piccolo capolavoro moderno della musica. Avrebbero potuto autocommiserarsi o piangersi addosso, ma invece insieme hanno saputo riscattarsi e far valere le proprie ambizioni. Ricominciare qualcosa comporta una crescita, e per me questo film parla anche di questo, di crescere e capire come va il mondo, complice anche la figura del personaggio di Adam Levine, il cantante di una simpatica band come i Maroon 5, che interpreta il ragazzo di Gretta. Lui sta cavalcando l'onda del successo ma i suoi secondi lavori non lo soddisfano. Gretta gli dice che non dovrebbe fare hit da stadio, ma usare le canzoni che gli aveva scritto lei senza intaccarne la natura, ma pure questo comporta dei rischi e degli obblighi nei confronti dei fan, cosa che darà un finale per nulla scontato e davvero sentito, dove il cantante dimostrerà una sconosciuta vocazione attoriale che, senza far gridare al miracolo, rende questo film ancora più godibile. Il regista e sceneggiatore John Carney ha un trascorso come bassista in una band e di conseguenza la sua passione per la musica si vede tutta, anche per delle bellissime canzoni come Tell me if you wanna go home o Lost star, vero fiore all'occhiello del film, insieme a una sceneggiatura che potrebbe essere stata molto più scontata ma che invece verte su una sensibilità non indifferente. E una New York resa viva come solo i veri cineasti sanno fare.
Quindi guardatevelo, anche solo per passare un'ora e mezza in leggerezza o per rifarli la playlist dell'MP3. Ne vale davvero la pena!
Voto: ★★★