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- Scritto da Valeria Morini
- Categoria principale: Le nostre recensioni
- Pubblicato: 30 Novembre -0001
Can a Song Save Your Life? Può una canzone salvarti la vita? Così recitava il titolo di lavorazione di questo film, successivamente ribattezzato Begin Again e distribuito in Italia, molto banalmente, come Tutto può cambiare. Torna il regista e sceneggiatore irlandese John Carney a sette anni di distanza dall’ottimo Once, dolcissima commedia di stampo musicale capace di conquistarsi un Oscar per la miglior canzone nel 2006 e diventare una pellicola di culto. Dopo aver girato, nel frattempo, Zonad e The Rafters, passati inosservati al di fuori delle isole britanniche, Carney ci regala un film che di Once è la copia carbone su scala più ampia, un altro incontro tra due angeli solitari a tempo di pop, dove la Dublino invernale e gioiosa del primo film cede il posto a una New York solare ed energica, in una produzione totalmente americana che vede protagonisti Keira Knightley e Mark Ruffalo.
La Grande Mela è il terzo personaggio principale, con i suoi angoli nascosti fotografati tra il Greenwich Village e l’Empire State Building: è qui che si incontrano Dan, discografico in crisi professionale ed esistenziale, e Greta, giovane cantautrice inglese con il cuore spezzato dall’ex fidanzato pop singer (interpretato da Adam Levine, frontman dei Maroon 5 al suo esordio come attore). Lui, pessimo marito e padre, adorabilmente incasinato ma perfetto talent scout, è solo in cerca della traccia giusta, quella che ti può cambiare la vita: la sente cantare da lei, tutta broncio, look hipster-ribelle e voce d’angelo. Perché non registrare insieme un album che vada contro tutte le regole del mercato discografico?
Inno alla gioia e alla libertà sprigionata dalle note musicali, Tutto può cambiare non centra fino in fondo il bersaglio, perché la trasferta oltreoceano imbriglia il talento del cineasta dublinese. Se la cornice è accattivante, mancano quella freschezza, quel lirismo e quell’intimità che avevano contraddistinto Once, in un’opera che soffre di banali stereotipi (il rapporto di Dan con la moglie Catherine Keener e la figlia ribelle adolescente Hailee Steinfeld), elementi estetici francamente imbarazzanti (gli strumenti che suonano da soli, l’immancabile spottone all’iPhone) e scelte attoriali poco felici (Levine si scatena quando canta, ma recitare non è il suo pane). In ultimo, va detto, e non è un problema da poco in un film come questo, che la maggior parte delle canzoni inserite nella colonna sonora di Gregg Alexander sono piuttosto bruttine e mai davvero coinvolgenti. È anche vero che Ruffalo è efficace e la Knightley, solitamente capace di instillare un’irresistibile voglia di prenderla a schiaffi, non riesce a rovinare un personaggio delizioso con cui si entra facilmente in empatia. Ma la sinfonia, nel complesso, conta troppe note stonate per incantare davvero.
Voto: 2/4
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