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Tutto Quello che Avreste Voluto Sapere sul Gruppo Espresso

Creato il 21 maggio 2015 da Pedroelrey

Dopo Rcs con­ti­nuiamo le nostre ana­lisi sui bilanci dei mag­giori gruppi edi­to­riali ita­liani, appro­fon­dendo lo sguardo su Repub­blica per occu­parci del Gruppo Espresso nel suo insieme.

I Ricavi
Lo sto­rico del fat­tu­rato preso in con­si­de­ra­zione, dal 1997 ad oggi, segna una para­bola che ha come ver­tice le annua­lità 2006 e 2007 con ricavi intorno ai 1.100 milioni di euro, poi la discesa costante che ha por­tato il fat­tu­rato nel 2014 per la prima volta sotto il livello del 1997 [quasi tre lustri prima, quando i bilanci si face­vano ancora in lire].

Se per Rcs abbiamo scritto che il “col­pe­vole” prin­ci­pale della fles­sione dei ricavi è il declino dei dif­fu­sio­nali per il gruppo Espresso invece è la crisi degli inve­sti­menti pub­bli­ci­tari [che rap­pre­sen­tano per il gruppo circa il 60% dei ricavi totali] a inci­dere mag­gior­mente sulla dimi­nu­zione dei fat­tu­rati. Se infatti ana­li­ziamo le ultime tre annua­lità il dif­fe­ren­ziale tra 2012 e 2014 regi­strato dai ricavi pub­bli­ci­tari è pari a –107 milioni con­tro il –169 milioni segnato dal fat­tu­rato totale. Fatta 100 la fles­sione ricavi del gruppo quindi la crisi della pub­bli­cità incide per il 65% men­tre i dif­fu­sio­nali inci­dono – nel mede­simo periodo – solo per il 17%. Poco cam­bia se si ana­liz­zano le ultime cin­que annua­lità con una respon­sa­bi­lità sulla fles­sione del fat­tu­rato pari al 67% per la pub­bli­cità e del 14% per i diffusionali.

C’è da dire che anche la fles­sione dei “ricavi diversi”, che com­pren­dono i col­la­te­rali [in netto declino dal 2010 al 2014 sono dimez­zati: da 66 a 33 milioni] pesa per un 18% sia con­si­de­rando le ultime cin­que annua­lità sia con­si­de­rando le ultime tre. Pro­ba­bi­lemte in que­sta voce dovreb­bero essere inse­rite con più deci­sione, ma que­sto vale per tutti i gruppi ita­liani, atti­vità come quelle di con­tent mar­ke­ting e ser­vizi ad aziende e spon­sor come stanno facendo, con pro­fitto, molte altre grandi testate stra­niere come New York Times e Guar­dian con l’attivazione di dipar­ti­menti appo­si­ta­mente dedicati.

[nota a mar­gine: Una neces­sità, quella di diver­si­fi­care mag­gior­mente le atti­vità e le voci di ricavo, che si avverte anche dai numeri dei bilanci — certo non solo quelli del gruppo Espresso — con un sistema dei ricavi basato tutto sulla cop­pia diffusione/pubblicità che segnala evi­denti limiti anche per il futuro e un digi­tale che, in Ita­lia, stenta a pren­dere il volo].

Repub­blica e le altre divi­sioni
Guar­dando ai bilanci delle sin­gole divi­sioni nel periodo dal 2010 al 2014 col­pi­sce il rap­porto tra ricavi e costi di Repub­blica: se la curva dei costi cala gra­dual­mente quella dei ricavi dell’ammiraglia del gruppo — che nel 2010 si tro­vava sopra a quella dei costi di 43 milioni — ha una fles­sione deci­sa­mente più mar­cata e repen­tina tanto che nel 2013 il mar­gine ope­ra­tivo lordo è nega­tivo per 1,4 milioni per poi rive­dere la “luce” nell’ultimo anno di bilan­cio tor­nando posi­tivo per 5,1 milioni.
La divi­sione Perio­dici [quella che gesti­sce le atti­vità dell’Espresso oltre che di Natio­nal Geo­gra­phic, Limes, Micro­mega e le Guide dell’Espresso] è invece in perenne “apnea” con la linea dei ricavi costan­te­mente al di sotto di quella dei costi e un risul­tato ope­ra­tivo nega­tivo in tutte le ultime cin­que annua­lità. Molto meglio Quo­ti­diani Locali e Digi­tale: le due divi­sioni man­ten­gono un equi­li­brio costi/ricavi più o meno costante nel tempo con risul­tato ope­ra­tivo, anche se ine­vi­ta­bil­mente in fles­sione [la crisi c’è e si vede], comun­que posi­tivo nell’arco di tempo preso in considerazione.

Posi­ti­vità di bilan­cio che però va ben inter­pre­tata. Infatti il gruppo Espresso-Repubblica, come emerge anche dalla tri­me­strale 2015, tra gli intan­gi­ble assets, tra le capi­ta­liz­za­zioni, mette a bilan­cio 480 milioni di euro come valore dei mar­chi delle testate di pro­prietà del gruppo. Immo­bi­liz­za­zioni imma­te­riali che, siamo certi che valga altret­tanto per gli altri edi­tori, dif­fi­cil­mente all’ora della even­tuale messa in ven­dita sareb­bero effet­ti­va­mente rico­no­sciuto come, banal­mente, testi­mo­nia la ven­dita  a Bezos del The Washing­ton Post, e le testate “minori” diret­ta­mente con­trol­late dal quo­ti­diano, pagate 187 milioni di euro.

Sulla divi­sione Digi­tale c’è da pre­ci­sare che nell’organizzazione del gruppo le è stata affi­data in toto la gestione, per la pro­pria area di atti­vità, di tutti i brand del gruppo. A dif­fe­renza dei valori for­niti ad esem­pio da Rcs quindi i ricavi delle divi­sioni del gruppo Espresso sono scor­po­rati dai ricavi da digi­tale [e se aggre­gati ne beni­fe­ce­reb­bero soprat­tutto i conti di Repub­blica]. Il digi­tale rad­dop­pia il suo peso sul totale del fat­tu­rato: dal 4,2% del 2010 all’8,2% del 2014, ma una quota sotto il 10% per un gruppo come l”Espresso è comun­que, ci per­met­tiamo di notare, al di sotto delle aspet­ta­tive. Su que­sto punto se guar­diamo solo a Repub­blica invece le cose miglio­rano con un, buon, con­tri­buto dell’online sui ricavi pub­bli­ci­tari — pari al 25% — e un [meno buono] 10% sulle reve­nue del dif­fu­sio­nale, come evi­den­zia anche la chart nella pre­sen­ta­zione dei risul­tati e delle stra­te­gie del gruppo.

I tagli ai costi
A quanto ammon­tano i tagli ope­rati dal gruppo? I costi ope­ra­tivi [non abbiamo tro­vato nei bilanci una voce che li indi­casse espli­ci­ta­mente quindi li abbiamo cal­co­lati sot­traendo al fat­tu­rato totale il mar­gine ope­ra­tivo lordo] sono scesi dai 738 milioni del 2010 ai 584 del 2014 per un taglio com­ples­sivo nelle ultime cin­que annua­lità di 154 milioni. Dati alla mano i tagli più con­si­stenti sono stati ope­rati negli ultimi due anni [62 milioni nel 2013 e 64 milioni nel 2014, ovvero quasi tre volte rispetto al taglio di 23 milioni del 2012].

Per quanto riguarda gli orga­nici, il costo del lavoro del gruppo, nel periodo 2010–2014, ha subito un taglio com­ples­sivo di 35 milioni. I dipen­denti a fine eser­ci­zio nel 2010 erano 2.789 quelli a fine 2014 sono 2.310 un taglio com­ples­sivo nei cin­que anni di 479 dipen­denti [siamo vicino a un taglio medio annuale di 100 dipen­denti]. Sor­prende però vedere che, nono­stante i costanti e rego­lari tagli, il valore medio del costo per dipen­dente non segua una dimu­nu­zione altret­tanto costante e rego­lare ma anzi cre­sca dai 99.800 euro del 2010 ai 102.000 del 2012 e 2013, e solo nell’ultima annua­lità subi­sca una fles­sione tor­nando sostan­zial­mente ai livelli di cin­que anni prima; insomma, come si suol dire, tanto rumore per nulla.

Una situa­zione che riguarda tutto il com­parto, come emer­geva già dal rap­porto rea­liz­zato dalla FIEG, in cui gli inve­sti­menti per il futuro lan­guono peri­co­lo­sa­mente. Basti pen­sare che nel primo tri­me­stre del 2015 gli inve­sti­menti netti del periodo sono stati pari a 0,3 milioni di euro.

È chiaro che il futuro offre grandi oppor­tu­nità. È anche dis­se­mi­nato di tra­boc­chetti. Il trucco con­si­ste nell’evitare i tra­boc­chetti, pren­dere al balzo le oppor­tu­nità e rien­trare a casa per l’ora di cena, diceva Woody Allen in Effetti col­la­te­rali. Forse è pro­prio quello che si tratta di fare.

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[Nota meto­do­lo­gica: i valori delle sin­gole voci, dove non spe­ci­fi­cato, sono quelli pun­tuali indi­cati anno per anno nei rela­tivi bilanci e non quelli ride­ter­mi­nati su base omo­ge­nea o riclas­si­fi­cati nei bilanci suc­ces­sivi (per essere più chiari: ad esem­pio, la voce ricavi del 2012 è quella indi­cata nel bilan­cio 2012 non quella even­tual­mente ride­ter­mi­nata suvc­ces­si­va­mente nel bilan­cio 2013)].

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