È UNA PRESENZA COMODA, LA TUA, ISABELLE: QUANTO BASTA A TENERE COMPAGNIA A UNA DONNA SENZA IMPORSI. UNA FINESTRA, UN VARCO, CHE ATTRAVERSO DAL MIO PENSARE AL SUO DISINCANTO DOLCE, E POI RIENTRO.
È L’ALTRA PARTE DEL CUORE.
Ho inforcato la via per Cesano. La fretta falciava la strada. Nuvole come chiasso nel silenzio, la pioggia trattenuta come un respiro.
Camminavo con l’urgenza dietro, il passeggino davanti. Sono felice di spingerlo: mi appoggio, sembra un conforto.
Guardo Isabelle, la sua testa ingenua e chiara, sottile come i suoi capelli. Ignara: tu resta buona, rimani così. Una certezza vincolata al qui e ora.
La sera ha già dissuaso la gente comune. Botteghe chiudono le serrande, dalle finestre sopra la via di ciottoli il tintinnio delle stoviglie, i primi sentori della cena. Pochi ragazzi a un bar che illumina piano l’imbrunire, qualche tavolo dondola accanto a sedie vuote.
Ho camminato senza un dubbio, obbediente al desiderio di spingermi lontana.
Lei buona come una promessa, nella sua culla a ruote, appoggia il capo di tanto in tanto, sul lato, quasi fosse stanca. Poi si protende in avanti, aggancia le mani al manubrio. È una presenza comoda, la tua, Isabelle: quanto basta a tenere compagnia a una donna senza imporsi. Una finestra, un varco, che attraverso dal mio pensare al suo disincanto dolce, e poi rientro.
È l’altra parte del cuore.
Vado lontana finché il pensiero si seda. Finché si placa il passo, il respiro si addomestica.
Al Parco della Libertà mi fermo, la slaccio, la libero: “Vieni, vuoi camminare?”
Allora risale dal suo stagno, il muso in alto, occhi di ghiaia che freme.
La metto giù, la guardo china a terra a raccogliere sassetti. Poi provare una corsa ancora prematura. Fermarsi lì in mezzo dove qualcuno che corre la dovrà scansare.
E in quel vestitino a fiori, per un istante, ho tutto quello che mi serve.