La definizione di Selfie riportata da Wikipedia è la seguente:
“Il selfie, termine derivato dalla lingua inglese, è una forma di autoritratto fotografico realizzato principalmente attraverso uno smartphone, un tablet o una fotocamera digitale, puntando verso sé stessi o verso uno specchio l’apparecchio e scattando, similmente a quanto avviene con la tecnica dell’autoscatto che utilizza un dispositivo che permette lo scatto ritardato di una fotografia.”
Attualmente i selfie sono uno dei mezzi più utilizzati di comunicazione, una comunicazione di se stessi a 360°gradi, 24 ore su 24, attraverso i quali si può rimandare un’immagine di sé e del proprio immaginario nel mondo. Dobbiamo ammettere che spesso il cattivo gusto, se non addirittura l’osceno, sono state protagoniste e fonti di controversie sia etiche che legali sull’argomento; tutti ricordano il polverone che si era alzato a maggio sul blocco del profilo instagram di Rihanna per foto senza veli.
Di fatti, famosi e meno famosi, per un eccesso di autostima o semplicemente per noia hanno saturato l’etere d’immagini notevolmente succinte, che di artistico e di bello hanno smarrito il senso. Un senso che, come ci spiega Zoja in Giustizia e Bellezza, viene smarrito come conseguenza di un aumento dei comportamenti non etici: “per la mentalità moderna l’etica e l’estetica sono chiaramente separate, l’estetica viene vista come personale, l’etica ha scopi universali… I Greci invece avevano un sistema di valori indivisibile fatto di bellezza e giustizia e la bellezza raccogliendo approvazioni indiscutibili aiutava ad assicurare un consenso anche alla morale… oggi invece il bello non essendo direttamente utile è compreso fra i passatempi… l’arte si fa specialistica e la massa si abitua alla bruttezza, ma il cinismo verso i valori della giustizia, oggi molto presente, potrebbe derivare anche dall’aver eliminato la bellezza”. E di conseguenza “Gli eroi semplificati dell’industria dello spettacolo ci intrattengono, ma non raccontano l’uomo. Si limitano a facilitarci il compito di riempire le porzioni di tempo che sentiamo vuote, il non-tempo che sta tra gli impegni più produttivi. Sono scaccia-pensieri, intra-tempo, passa-tempo che combatte il non-tempo. Conservano una segreta parentela con il vuoto che a malapena nascondono”.
E magari è questa sensazione di “vuoto” che sta spingendo il Selfie ad arricchirsi di significato. Si moltiplicano a vista d’occhio le iniziative benefiche portate avanti attraverso il canale Selfie: prima il #nomakeupselfie per il cancro e #icebucketchallenge per la SLA, e adesso arriva #Wakeupcall (un selfie appena svegli + donazione + 3 nomination) a sostegno di Unicef e dei bambini della Siria.
Ma se le iniziative benefiche vogliono eliminare il “vuoto” che avvolge il selfie, c’è un artista che invece lo vuole indagare, perché è questo il compito dell’arte: analizzare e interpretare i nuovi canali comunicativi che il mondo ci mette a disposizione. E cosi Jun Ahn, giovane fotografa coreana classe ’81, vuole ritrarre questo “vuoto” attraverso i suoi Self-portrait, indagare attraverso di esso il presente e analizzarne il rapporto attraverso un’intimità che può dare solo uno scatto dove lei è sola, fotografa e protagonista, occhio osservatore e parte integrante del paesaggio. Tutto questo è rappresentazione di una vertigine.
Una vertigine che rappresenta il presente dal suo punto più estremo e una donna emblema di forza e fragilità, in bilico su un mondo distante e vicino. “Il mondo è il luogo in cui illusione e realtà costantemente si incontrano e collidono. E la fotografia è lo strumento per fare di un’illusione la realtà”.
La speranza è che nasca un nuovo “rapporto”, uno attraverso in cui grazie al selfie l’arte diventi meno “specialistica” e che grazie all’arte il selfie trovi una sua profondità, una sua Bellezza; perchè infondo un rapporto non è nient’altro che un dare e avere, un compromesso, un preludio all’evoluzione.
A cura di Martina Cotena.