LES REVENANTS
Les Revenants è una serie tv francese andata in onda lo scorso dicembre su Canal+. Ora, non sono un grande esperto di séries télévisées transalpine, ma non faccio fatica a credere ai tanti che sostengono si tratti della cosa forse migliore mai partorita dal piccolo schermo francese.
La vicenda, ambientata in una cittadina di montagna (zona di Annecy), entra subito in medias res: un pullman carico di bambini delle elementari in gita scolastica finisce in un burrone. Muoiono tutti. Qualche anno dopo, però, una di loro, Camille, ritorna. Come se nulla fosse successo. Seguìta presto da altri (non) morti, desiderosi di recuperare in qualche modo le loro vite di un tempo. Zombie? Vampiri? Non direi. Piuttosto persone psicologicamente e fisicamente normali che, ripiombate sulla terra dopo un lungo sonno, non sanno bene come comportarsi, dato anche l’ovvio sgomento di chi li credeva definitivamente trapassati.
Les Revenants è un capolavoro di misura e inquietudine, un prodotto praticamente perfetto capace di proiettare lo spettatore in un’atmosfera di angoscia e disperazione senza dover ricorrere ai soliti trucchetti horror, senza violenza gratuita e senza quasi ricercare alcun inutile effetto “di spavento”. Perché ciò che davvero dobbiamo temere, sembra suggerirci la vicenda, non sono improbabili mostri, bensì noi stessi, la nostra finitezza e la nostra condizione di indeterminatezza su questa terra. La cosa più spaventosa di questi “ritornati” è che sono come noi, è che sono noi: non si ricordano nulla di ciò che è successo nell’oltretomba, non sono in grado di fornire risposte. Come tutti gli esseri umani sono spersi in un qualcosa che è più grande di loro, che non possono controllare.
La metafora che meglio rappresenta questa serie tv, immersa in un’insolita atmosfera pre-apocalittica, è secondo me quella dell’Uroboro, il serpente che si morde la coda: lo spazio e il tempo della vicenda sono come attorcigliati in loro stessi, incapaci di evolversi, di trascorrere, di determinare un prima e un poi. I protagonisti del racconto sono intrappolati nel loro piccolo paese, non possono scappare (ricordate l’isola di Lost?), e anche il tempo sembra non passare mai: i non morti hanno lo stesso aspetto di quando se ne sono andati, bloccati in un qui e ora che non permette loro di invecchiare né di morire davvero. Situazione paradossale che va a sommarsi ad altre due terribili e spiazzanti minacce: la presenza nella cittadina di un maniaco cannibale e il livello sempre più basso delle acque di un lago artificiale che, insieme alla diga che lo contiene, sovrasta l’intero territorio.
Sospeso in una cupa provincia di quasi onirica tristezza (cfr. Twin Peaks) e ricco di colpi di scena e misteri che, piuttosto che risolversi, si ammassano costantemente l’uno sull’altro (ancora Lost), Les Revenants è tanto inquietante a livello narrativo quanto convincente sotto un punto di vista estetico, sapendo regalare, pur nella sua semplicità formale di fondo, immagini di grande impatto e suggestione (una fra tutte: il lago misteriosamente costellato di carcasse di animali).
Il cast è discreto, le musiche della band post-rock scozzese Mogway minimali ed efficaci. Serve aggiungere altro? Be’, se ancora non siete convinti fatevi un giro sul website ufficiale, molto completo e ben fatto.
Alberto Gallo