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The hurt locker è un'esperienza. Un'esperienza di pancia e di mente. Non è un capolavoro, è qualcosa di diverso. Chi vi rintraccia un militarismo, sbaglia; chi vi rintraccia un appoggio all'America è fuori strada. The hurt locker è un film bellico, riguarda la guerra in Iraq. Ma non è politica. Katherine Bigelow, prima regista donna a vincere l'Oscar, è ben lontana da un interventismo vorace e crudele, così come da un pacifismo che spesso puzza di sconfitta nauseabonda. Non si vuole descrivere ciò che è impalpabile, ma semplicemente ciò che è. In questo senso, non c'è la Storia ma una Storia. Questo film non ha luogo nè tempo, nel senso che potrebbe essere collocato in qualsiasi momento di ogni epoca. Ci sono le armi tecnologiche, ma ciò che conta è il senso di oppressione, il misto di sensazioni, i cali di tensione e i picchi adrenalinici, i momenti di svago e quelli dolorosi, il conflitto tra una propria concezione morale e la disciplina militare. E' un film che mostra finalmente l'Uomo, quello vero, non la macchietta nè l'istrione vero e proprio, nè l'eroe, nè l'antieroe, ma soltanto l'Uomo, nelle sue tante contraddizioni e nei suoi mille pensieri. Non c'è una psicologia precisa, i caratteri sono sfuggenti e nei loro comportamenti si evince ciò che ha cambiato la loro vita. La Bigelow non ama il sentimentalismo, al bacio alla ex-moglie preferisce la pacca sulla spalla e i giochi con botte da cameratismo maschile, al bambino da poco nato contrappone la scelta, l'unica possibile, della guerra ad oltranza. Il sorriso beffardo di Jeremy Renner, giustamento candidato alla statuetta come migliore attore protagonista, è tutto ciò che il suo mondo interiore può esprimere. Qual è l'unica ragione di vita di un ex-soldato che ha dato, come lui, tanto alla patria, valore del tutto assente nel film? Il sergente William James ha un'unica idea. E, nonostante tutto, è quella che lo fa sentire vivo. Non violenza potenziale, niente ombra di Bush, niente ipocrisia. Il film è un atto d'accusa asciutto, ma è anche una rappresentazione di realtà senza giudizio. La Bigelow è una donna abile, decisa, forte e dinamica. La macchina da presa, forse, è la sua prospettiva. Lei inquadra e noi percepiamo chi è. Il colmo è stato che abbia preso in mano, per prima, quella statuetta tanto ambita, con un film di guerra e non con una storia strappalacrime. Molte sono autrici, a differenza sua. Ma, forse, Katherine ha dalla sua lo stesso lavoro e la stessa perizia tecnica dei colleghi maschi che spradroneggiano da anni. E questo ci galvanizza da morire.
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