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Il film è la prima opera registica di Sidney Lumet e gli fruttò un riconoscimento internazionale quale l'Orso d'oro di Berlino del '57. Lumet tratta il tema del razzismo e dei pregiudizi di razza in un contesto risolutivo come quello del tribunale e di una corte di giurati, comuni cittadini, che deve fornire il suo verdetto al giudice su un caso di parricidio commesso da un ragazzo immigrato.
Quasi tutta la vicenda si svolge nella stanza in cui i giurati si riuniscono per decidere la sorte del giovane.
Dei dodici giurati non si conosce nome, ma solo un numero che viene assegnato in base alla loro posizione attorno al tavolo, e solo in un caso la vita personale di uno emerge e si intreccia al racconto. Per conoscersi i giurati chiedono il lavoro che svolge l'altro; Lumet non a caso tralascia nei dialoghi informazioni personali dei suoi personaggi, facendo emergere solo il lato più alienato e utilitaristico quale quello del lavoro.
Tutti i giurati sembrano trattare la faccenda come un caso privo di particolare interesse, tranne il giurato n.8 (Henry Fonda).
Il giurato n.8 è l'unico che mette in dubbio la colpevolezza del ragazzo e che prende davvero in considerazione le incongruenze delle prove che nessuno ha mai considerato.
Piano piano le sue riflessioni riusciranno a convincere tutti gli altri giurati, anche quelli più recidivi, violenti e razzisti, dell'innocenza del ragazzo.
Attraverso i dialoghi e la gestualità dei suoi personaggi Lumet pone l'accento sull'indifferenza dell'uomo (ad esempio quando il giurato n.7 non vede l'ora di andare a vedere la partita, o quando il giurato n. 12 è intento a parlare solo del suo lavoro). Inoltre il tema del razzismo è ampiamente criticato con una scena molto costruita e dal gusto teatrale: il giurato n.10 dimostra la colpevolezza del ragazzo facendo un discorso sulle differenze per natura, sul fatto che il ragazzo straniero è per natura un disadattato e un assassino perchè non vive come persone civili.
Durante questo discorso uno ad uno gli altri giurati si alzano dal tavolo dando le spalle al collega che parla il quale, alla fine, si auto-esilierà in un tavolino in un angolo della stanza, senza più pronunciare parola.
Ogni giurato rappresenta un sentimento umano negativo, come l'ira, il rimpianto, l'apatia; infatti molti giurati non sanno nemmeno giustificare il perchè della loro scelta di giudicare colpevole o innocente l'imputato. In effetti negli studi di psicologia sociale è stato dimostrato che la minoranza, se convincente e persistente nei suoi ideali, può influenzare la maggioranza.
Lumet è riuscito a mostrare le debolezze umane, il desiderio dell'uomo di giudicare come se fosse al di sopra di tutti gli altri esseri, l'ira che si riversa sui proprio simili e, nella fattispecie, sui propri figli e sulle proprie aspettative di genitore. Lumet mostra come la freddezza dell'uomo, preso dai suoi affari e dal competitivo mondo del lavoro, aumenti l'impassibilità del cuore e dei sentimenti, fino a riuscire a parlare della morte con leggerezza e impassibilità.
Alla fine, quando riusciranno a sciogliere i nodi più profondi dei loro caratteri, si riconosceranno capaci di ritrovare l'armonia primordiale, come si vede nell'ultima scena in cui viene finalmente svelato il nome di due dei giurati, i primi che si erano dichiarati contrari alla condanna a morte dell'imputato, che, simbolicamente, rappresentano l'uscita dei personaggi dall'anonimia per ritrovare la propria identità.
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