Joel-Peter Witkin, Night in a Small Town
La prima parte si trova qui.Come i più acuti critici hanno rilevato, chi non ha fede non può essere blasfemo e non stupisce, quindi, leggere di affermazioni come queste rilasciate dal nostro nel corso di varie interviste: Per me queste persone [i freaks, ndr] andavano oltre il normale perché mostravano il genio di Dio e il nostro bisogno di amare, oppure La fede cattolica è sempre stato il mio punto d’osservazione sulla vita; eccetera.La sua blasfemia, quindi, andrebbe intesa come sintomo di un dualismo interiore (conseguenza della diversa eredità spirituale, cristiana ed ebraica, dei due genitori), di un’insofferenza profonda per la morale e l’estetica cristiana, contro il “peso della religione”, ovvero come tentativo di slegarsi dal conformismo dilagante anche in società che a parole si dichiarano laiche. Ecco allora che le deformità e le anomalie ritratte su cellulosa ed enfatizzate assumono il sapore di un'apocalittica disfatta, il disincanto verso la mortale, fallace e condannata natura umana, una sorta di personale e grottesca danse macabre.
In effetti, più che dalla religione, Joel-Peter sembra ossessionato dalla morte e quasi divertito dalla paura dell’aldilà dimostrata, nei fatti, da una cristianità che ha come dogma e come meta proprio la vita ultraterrena. Moltissime sue immagini che ritraggono cadaveri o parti di cadavere sono dei memento mori la cui ironia è rivolta ai vivi, non ai morti: è il caso, tra le altre, di opere come “Glassman”, “Still life”, “Face of a woman” o “Interrupted reading”. “Glassman” è il ritratto di un cadavere anonimo che, in quanto tale, è “trasparente”: trasparente per la società che, ignara e indifferente al fatto che l’uomo è morto e al come è morto, è colpevole di inconsapevolezza. Anche il defunto sconosciuto sembra però indifferente al suo fato, come se la morte rendesse vano ogni qualsivoglia rimpianto… “Still life” è la parodia della natura morta della pittura classica, con quella testa ritratta sulla destra più morta della composizione di frutta e verdura a sinistra; una presa in giro, un accenno al fatto che nulla è scontato; tutto scorre, perciò ogni cosa è relativa, anche ciò che di solito leggiamo come una sentenza definitiva: la morte… perché dalla testa morta spuntano dei gigli, simbolo di purezza (li ricordiamo accostati alla Madonna): è la vita che nasce dalla morte. Uno spunto simile viene sfruttato anche nell’opera “Face of a woman”, dove accanto alla testa-vaso con i gigli è ritratta una scimmia, anch’essa rintracciabile in passato accanto alla Vergine (si pensi alla “Madonna della scimmia” di Dürer) a simboleggiare la menzogna che soccombe alla verità; in questo caso però è probabile che la chiave di lettura sia l’elemento “eversivo” della figura della scimmia, così simile a noi ma in cui ci è così difficile identificarci a causa del darwinismo imperante e perché per la cristianità è un simbolo particolarmente ripugnante, dato che rappresenta la sregolatezza in senso dionisiaco, ovvero la sfrenatezza sessuale. Ma Joel-Peter, che non si accontenta di creare spaesamento con le immagini, ama aggiungere paradossi verbali a quelli visivi attribuendo ad ogni fotografia un titolo che fornisca esso stesso un'ennesima chiave di lettura: un esempio è “Interrupted reading”, un gioco di parole che allude all’immagine ritratta, quella di una donna in “pausa lettura” con la testa tagliata a metà. Mentre i vivi si ritrovano a riflettere sulla caducità della vita, i morti rivivono e trovano nuova dignità.
Joel-Peter Witkin, L to R: Face of a Woman, Still Life
Sarebbe però riduttivo attribuire la sua fama soltanto ai suoi soggetti e alle sue tematiche, perché Joel-Peter è anche uno sperimentatore. Suo tratto distintivo è l’uso del bianco e nero e la manipolazione dei negativi che, tramite sbiancatura e raschiamenti manuali, vengono personalizzati con macchie e graffi in post-produzione. Questi graffi, tagli, macchie e quant’altro che cosa sono, simbolicamente, se non ferite inflitte a corpi già manipolati, morti, mutilati o “imperfetti” - come nel caso della fotografia intitolata “Mexican Pinup” la cui modella, ancora una volta, ha una mascherina che le copre gli occhi - può cioè essere vista ma non vedere? Ha ragione chi pensa che siano un gesto di sfregio, un'ennesima provocazione, oppure chi li vede come un omaggio, un modo per modellare il mezzo (la pellicola) sui soggetti che ritrae, livellando tutto tramite l'imperfezione?Ma la vera domanda è se Joel-Peter sia un visionario dal cuore puro oppure un abile uomo di marketing che ha capito come sfruttare la morbosità dei suoi soggetti e delle sue messinscene per scioccare. Temo che, come tutti i grandi quesiti, anche questo rimarrà irrisolto, e ognuno di noi dovrà trovare dentro di sé la sua risposta. Penso sia chiaro il mio punto di vista.
È probabile (come afferma Davide Faccioli nel breve saggio dedicato a Joel-Peter nel volume “Photology”) che la sua arte non sia altro che la cartina di tornasole dei tempi moderni, dominati dalla sfiducia verso una situazione sociale e politica occidentale che sembra degenerare progressivamente in una crisi permanente (la Grande Depressione, le guerre, l’olocausto nucleare, il terrorismo sono avvenimenti a cui Joel-Peter ha assistito in prima persona). Ampliando un po' il discorso, si potrebbe farne il manifesto dell’inconscia paura per il futuro dell’intera civiltà.
Emblematica a tal proposito è “The raft of George W. Bush”, riproposizione de “La zattera della Medusa” di Géricault in chiave satirica: la zattera è un’America in balia delle onde mentre il suo leader, invece che cercare di prendere in mano la situazione, non sa far altro che carezzare il seno della donna ai suoi piedi. Anche se l'era Bush ormai è tramontata, l'immagine resta tristemente attuale.
Joel-Peter Witkin, The raft of George W. Bush
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