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Uccidevano gli afghani per sport. Uccidevano e massacravano per il solo piacere di farlo. Fatti di droga e alcool. Nascondevano i corpi. E poi minacce e ritorsioni verso chi non aveva fegato di starci. Lo chiamavano il kill team : la squadra per uccidere.
Una storia dell’orrore che arriva all’ultimo posto in cui ti saresti aspettato di sentirtela raccontare : la base militare in Afghanistan della Quinta Brigata combattente Stryker , seconda divisione di fanteria. Il cuore dell’attacco verso i Talebani.
Il nucleo scelto dei ragazzi born in the Usa finiti laggiù per estirpare i Talebani che proteggevano gli assassini di Al Qaeda. Invece la squadra aveva trasformato la guerra in un fatto privato. La squadra era quella del sergente Gibb.
La notizia è stata tenuta segreta il più possibile. Nel mondo islamico già in tumulto per le minacce in America di bruciare il Corano ci mancava questa storia terribile degli assassini per gioco. Il processo che quest’autunno si aprirà , rischia di replicare Abu Ghraib.
Soprattutto perché la storia portata alla luce del Washington Post rivela anche un retroscena se possibile ancora più pericoloso : l’esercito non ha fatto nulla per fermare quella strage di cui pure era a conoscenza.
Adam C. Winfield , un soldato, aveva confidato cosa sta succedendo nella sua pattuglia a suo padre Cristopher , un ex marine.
L’ex marine si attacca al telefono. Ma all’Esercito risponde solo una segreteria telefonica. Segreteria telefonica anche all’ufficio di un senatore. Segreteria telefonica al reparto di investigazione criminale dell’esercito. Alla fine trova un sergente che spiega che non può fare nulla se il figlio non fa denuncia ai suoi superiori.
I poveri afghani morti sono tre. Ma tanti altri sono stati assaliti. Il sergente Gibb è un veterano dell’Iraq e dell’hashish.
Il piano era si finge un attacco e si colpisce. Il primo attacco avvenne il 15 gennaio nel villaggio di La Mohammed Kalay , Kandahar. Un soldato , Morlock, lancia la granata verso un afghano che avanza. Lui reagisce e si spara. Un mese tocca ad un altro civile.
Al processo finirà anche il soldato che ha lanciato l’allarme “Sì ho partecipato. Ma sono stato costretto. Ho sparato in aria”. L’ultima vittima è un religioso afghano.
Lo squadrone non si ferma. Ma una denuncia anonima fa scattare gli arresti. Non si capisce di perché questi attacchi. Ma alla vigilia del processo i documenti raccontano di soldati con hashish e noia. Uccidevano gli afghani per sport.
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