Cosa sta succedendo in Ucraina? Da giorni i media italiani trasmettono immagini di manifestazioni, proteste e scontri nella capitale dell’ex repubblica sovietica, ed è alquanto difficile per i non addetti ai lavori capire cosa stia accadendo. Anche perchè l’inizio di questa crisi è stato letteralmente snobbato dalle nostre televisioni, concentrate più sui guai giudiziari di Berlusconi che su altro. Cerchiamo di capire meglio questa situazione, che si carica di tensione ogni giorno di più. L’Ucraina avrebbe dovuto firmare il 28 novembre scorso un accordo di libero scambio con l’Unione Europea: non un’adesione all’Ue, ma il conseguimento di uno status privilegiato di cui oggi dispongono paesi come Giordania, Tunisia, Sudafrica, Algeria, Marocco, Cile and Messico. Una mossa che, nei piani dell’ambiguo presidente Viktor Yanukovic, avrebbe dovuto rilanciare la debole economia nazionale e dargli una concreta occasione di rielezione alle Presidenziali del 2015.
Ma un accordo del genere avrebbe finito per trasformare l’Ucraina in un “paese di transito” di beni occidentali verso la Russia, aggirando di fatto le barriere doganali con cui Mosca, da un anno nel Wto, cerca di difendere la propria industria meccanica, aerospaziale e la propria agricoltura. A pochi giorni dalla firma dell’accordo, che doveva essere apposta durante il vertice europeo di Vilnius, Yanukovic ha fatto retromarcia: l’Ucraina rimane fuori dall’area di libero scambio.
Di motivi per questo clamoroso dietrofront ne sono stati tirati fuori ufficialmente due: il primo è che l’Ue imponeva la scarcerazione di Julija Timoshenko, l’ex premier in carcere per abuso d’ufficio e corruzione, il secondo è che un’area di libero scambio avrebbe portato vantaggi solo alle regioni occidentali del Paese, a discapito di quelle orientali, serbatoio di voti di Yanukovic. Il terzo motivo, non ufficiale ma a quanto pare rivelato dallo stesso presidente ucraino al suo omologo lituano, è costituito dalla minaccia russa di bloccare l’importazione di beni made in Ukraina e di richiedere l’immediato pagamento dei debiti sulle forniture di gas (pagato a un prezzo elevatissimo, grazie ad un accordo siglato nel 2009 dalla Timoshenko), se Kiev avesse sottoscritto l’accordo.
Ciò che ne è conseguito è lo specchio di un paese spaccato in due, come prima, più di prima: da un lato gli europeisti, sostenitori della Timoshenko e nostalgici della (fallimentare) Rivoluzione Arancione, che gridano al golpe e vogliono che Yanukovic si dimetta; dall’altro i filorussi, ovvero gli ucraini che vivono nelle regioni russofone del sud-est, quelle più povere, che temono che l’adesione al libero mercato comunitario gli faccia perdere anche quel poco che hanno.
Yanukovic ora rischia di restare praticamente da solo: sembra che ormai abbia tutti contro. A cominciare da Bruxelles, che a dispetto della disponibilità espressa nel “mantenere aperta la porta a Kiev”, non sembra intenzionata a concedere gli aiuti finanziari richiesti per modernizzare l’economia ucraina nell’ottica di un ingresso nell’area di libero scambio: si tratta di 167 miliardi di euro, la stessa cifra che l’Ue ha speso in passato per modernizzare la Polonia, solo che quest’ultima era un membro effettivo dell’Unione Europea. E la Russia rischia di diventare la pietra tombale sulla carriera politica del leader ucraino: se l’allineamento con Mosca non darà i frutti sperati dal punto di vista economico, la sconfitta alle prossime elezioni sarà pressochè certa. Se ciò accadrà, chi verrà dopo Yanukovic avrà vita facile nel riaprire le trattative con Bruxelles, che ormai sembra aspettare proprio che questa concreta eventualità si verifichi.