Posted 17 marzo 2014 in Russie, Ucraina with 8 Comments
di Pietro Rizzi
“Siete a favore della riunificazione della Crimea con la Russia come entità costituente?”. Circa il 96% tra i votanti della Crimea, con un’affluenza superiore all’81%, ha risposto affermativamente, segnando, almeno simbolicamente, la fine della sovranità ucraina sulla regione. Sovranità che ormai da vari giorni non era più de facto in capo all’Ucraina, dopo che militari apparentemente senza mostrine, ma chiaramente russi, avevano preso il controllo della regione appoggiati da buona parte della popolazione.
Le ore precedenti alla diffusione dell’esito del referendum sono state ricche di eventi che non fanno ben sperare: sabato 15, mentre a Kiev la Corte Costituzionale dichiarava incostituzionale la consultazione referendaria e la Verkhovna Rada, il Parlamento, scioglieva il Parlamento della Crimea con 278 voti su 450, il Ministero degli esteri affermava che Strilkove, una cittadina appartenente alla regione di Kherson (geograficamente Crimea) veniva conquistata da truppe russe. La nota del Ministero terminava con un poco tranquillizzante: “l’Ucraina si riserva il diritto di usare tutte le misure necessarie per fermare l’invasione russa”.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU esaminava nella stessa giornata una risoluzione che dichiarasse invalida la consultazione referendaria: copione ovvio, con 13 voti a favore, l’astensione della Cina ed il veto russo. Esito scontato che ha dimostrato l’isolamento internazionale della Russia.
La domenica del referendum, oltre ai comunicati delle cancellerie europee e degli USA con i quali si ripeteva il non riconoscimento, il Ministro della Difesa ucraino ha annunciato una tregua con la Russia sino al 21, giorno in cui il Parlamento russo esaminerà la proposta di legge per l’annessione di terre straniere e l’Ucraina siglerà la parte politica dell’Accordo di associazione con l’UE. Una buona notizia, se non si fosse saputo del dislocamento di altre truppe russe in Crimea, e dello spostamento di soldati e mezzi blindati ucraini al confine con la Russia.
Prevale il principio di autodeterminazione o il principio dell’integrità territoriale?
La Russia è intervenuta affermando di voler proteggere la popolazione di origine (e spesso con passaporto) russa. Causa contingente l’abrogazione della legge (poi non ratificata dal Presidente ad interim) che garantiva l’ufficialità del russo, e di altre lingue minori, in regioni dove le minoranze erano superiori al 10%. Putin ha più volte dichiarato di aver ricevuto richieste di intervento e protezione da parte dalla popolazione della Crimea ed ha accettato il referendum come in linea con il principio di autodeterminazione dei popoli sancito dalla Carta delle Nazione Unite, articolo 1, paragrafo 2. Tale principio, spesso invocato ma che nella prassi ha avuto un’applicazione abbastanza limitata, è stato inquadrato nell’ottica dei territori coloniali e di quelli conquistati ed occupati con la forza.
L’Ucraina accusa la Russia di violazione del proprio territorio e ritiene che il referendum sia incostituzionale: un referendum che trattasse questioni territoriali sarebbe legale se coinvolgesse tutti i cittadini ucraini (articolo 73 della Costituzione). La Russia inoltre ha sottoscritto alcuni trattati nei quali riconosceva l’integrità territoriale ucraina con inclusa la Crimea (Dichiarazione di Alma Ata del 1991, Memorandum di Budapest 1994, Accordo per la concessione della base di Sebastopoli del 1997, prorogato nel 2010).
Referendum: si è svolto tutto in modo appropriato?
Tralasciando la validità del referendum è opportuno rimarcare alcune particolarità. Innanzitutto i quesiti. Il primo chiedeva se si volesse l’annessione alla Russia, l’altro se si preferisse la reintroduzione della Costituzione del 1992 all’interno dell’Ucraina, tralasciando l’opzione dell’indipendenza. La campagna referendaria non si è svolta: non vi sono stati comitati promotori, anche se gran parte della nomenklatura e dei media (russi poiché la televisione ucraina è stata in gran parte oscurata) hanno sponsorizzato l’annessione. Il tempo di preparazione è stato limitato: il Consiglio Supremo della Crimea ha stabilito il 6 marzo che dieci giorni dopo si sarebbe svolto il referendum, in precedenza era stato fissato per il 25 maggio, e poi per il 30 marzo. In un lasso di tempo simile è difficile organizzare un sistema perfetto, ed il blocco dell’accesso alle liste elettorali da parte della Commissione Elettorale Centrale di Kiev ha portato gli organizzatori a rifarsi a liste non aggiornate. Proprio liste elettorali approssimative hanno lasciato alle commissioni distrettuali numerose libertà: molti i cittadini non ucraini che, residenti in Crimea, sono stati ammessi al voto. I militari hanno presidiato per motivi di ordine pubblico le strutture dove si svolgevano le consultazioni. Le urne trasparenti e le schede inserite aperte, che alcuni media hanno sottolineato in negativo, sono previste dalla legislazione elettorale ucraina e non si diversificano rispetto alle precedenti elezioni nazionali. L’inno di Mosca ha risuonato al di fuori di molte strutture elettorali, e le bandiere russe sono state portate da numerosi votanti all’interno dei seggi.
Non si sono verificati scontri e, al di fuori delle valutazioni personali e delle percentuali bulgare, il risultato (con i tatari e gli ucraini che hanno boicottato la consultazione) è in linea con l’opinione della maggioranza degli abitanti della Crimea.
Crimea: quale scenario?
La comunità internazionale e l’Ucraina non accetteranno l’esito del referendum, ma la palla sembra essere in mano a Putin che può accettare di annettere la Crimea o farne un nuovo territorio amico, da proteggere, ma da lasciare ad una forma di autogestione.
Se annessione fosse si troverebbe una regione in crisi economica per la quale dovrebbe sborsare vari miliardi di dollari. Non essendo contigua territorialmente andrebbe poi finanziato un ponte sullo stretto di Kerch, del quale si parla da anni. La minoranza ucraina e tatara andrebbero gestite con attenzione: troppo controllo sarebbe criticato, ma troppa libertà permetterebbe loro di sollevarsi. Un altro confine da gestire con l’Ucraina sarebbe, dopo quanto accaduto, fonte di rischi continui.
La seconda possibilità è uno scenario transnistriano. Putin potrebbe preferire che la Crimea si gestisca da sola, mantenendo però un certo controllo sui governanti, sulla falsa riga di quanto è avvenuto anche in altre autoproclamatesi repubbliche (Abkhazia, Ossezia del sud). Mosca dovrebbe comunque aprire il cordone della borsa per non suscitare nostalgie verso l’Ucraina, ma la responsabilità sarebbe in primo luogo dei nuovi leader. Il rischio, in questi casi, è che poi il vertice statale pretenda sempre di più e che inizi a cercare una propria via di affermazione che in casi analoghi ha creato problemi a Mosca (Smirnov in Transnistria). La base di Sebastopoli rende l’area di particolare importanza ed al tempo stesso è una presenza militare costante che in caso di necessità potrebbe agire in Crimea ed all’esterno senza dover più sottostare alle regole di Kiev: un guadagno geopolitico non da poco. In questo caso a fronte di ogni eventuale crisi con l’Ucraina la Crimea potrebbe essere una spina nel fianco dell’ex stato di appartenenza e la Russia potrebbe sempre affermare la propria estraneità ai fatti. Dopo alcune brutte esperienze passate (soprattutto la guerra in Ossezia del sud del 2008) Putin potrebbe essere tentato di assumersi personalmente l’onere della Crimea, accettando la proposta di annessione e proponendosi come il liberatore dal governo di Kiev, definito spesso fascista ed antisemita.
Le prossime ore saranno importanti per capire che cosa voglia fare il leader del Cremlino, sempre più combattuto tra l’ascoltare le minacce internazionali o seguire i falchi interni. La partita ucraina potrebbe non essere finita e le manifestazioni a Kharkiv, Donetsk ed in altre parti sud orientali del paese ne sono dimostrazione. Non sarà un voto a sancire la fine della partita.
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