Posted 4 maggio 2014 in Ucraina with 4 Comments
di Matteo Zola
Cosa è accaduto esattamente a Odessa il 2 maggio scorso forse non lo sapremo mai. Come forse non sapremo mai chi erano i cecchini di piazza Indipendenza. Forse solo fra anni la verità potrà essere scoperta e anche allora ci sarà chi la contesterà. Le ricostruzioni degli eventi vengono piegate agli interessi di parte, in modo da dare la colpa all’una o all’altra fazione. Come abbiamo scritto, l’eccidio di Odessa segna il passaggio a una nuova e più violenta fase del conflitto ucraino. Odessa poi non è un posto a caso, come riportato da Giovanni Catelli essa è la chiave di volta del conflitto: se Odessa venisse presa dai filorussi, il governo di Kiev potrebbe non reggere al colpo e il paese finirebbe completamente destabilizzato. La posta in gioco non è solo l’est, ma tutta l’Ucraina.
A due giorni di distanza dai fatti di Odessa comincia a farsi largo una versione dei fatti condivisa, al netto delle strumentalizzazioni di parte. Quegli eventi non solo oggetto di dibattito ma espressione di fedeltà partigiana all’una o all’altra causa. Per questo una verità è impossibile.
L’inizio degli scontri, i filorussi attaccano
“Quello che possiamo dare per certo è che gli scontri sono iniziati prima della partita di calcio tra la squadra di casa , il Chornomorets Odessa, e gli ospiti del Metalist Kharkiv” scrive Roland Oliphant, inviato a Odessa del quotidiano britannico Daily Telegraph. E’ interessante notare il ruolo degli hooligans in questi contesti: tradizionalmente (e il caso jugoslavo insegna) le tifoserie organizzate sono l’elemento che caratterizza l’inizio di guerre civili o aspri conflitti sociali. Le due opposte tifoserie si sono unite in un corteo a sostegno della rivoluzione di “Maidan” e hanno marciato verso la piazza della cattedrale dove si è raccolta una folla che comprendeva persone comuni, membri delle “forze di autodifesa di Maidan” e alcuni elementi dell’estrema destra organizzata (di cui Pravy Sector è solo una espressione). Erano le due pomeriggio e una grande folla si era ormai radunata. Il corteo si è dunque mosso verso lo stadio.
“Prima di arrivare allo stadio, però, il corteo è stato attaccato da uomini che sembravano essere attivisti filorussi poiché – dicono i testimoni – portavano al petto il nastro nero e arancio di San Giorgio” riporta ancora il Telegraph. Testimonianze analoghe sono state raccolte anche dalla BBC. Per tutti gli osservatori e i testimoni l’attacco è sembrato ben pianificato. Le riprese video mostrano come gli attaccanti vestissero giubbotti antiproiettile, caschi, scudi e bastoni. Non sarebbero mancate le pistole. I morti erano quindi inevitabili e, anzi, cercati dagli assalitori.
Le ferite da arma da fuoco
Il dottor Andrei Vegerzhinsky, medico responsabile dell’Ospedale n°1, ha dichiarato al Telegraph che dalle ore 16 è cominciato l’afflusso di feriti. Circa novanta persone sono state curate nel suo ospedale e molte riportavano ferite da proiettili di gomma. Alle 18.40 una donna è arrivata con una ferita di arma da fuoco che le aveva reciso un arteria ed è morta dissanguata venti minuti dopo. Un capitano di polizia è attualmente ricoverato con gravi lesioni da arma da fuoco e un’altra vittima si troverebbe tra la vita e la morte con un polmone perforato. La battaglia sarebbe durata fino a sera, coinvolgendo l’area circostante a via Greska, nella zona centrale della città.
La seconda fase, i pro-Maidan contraccano
Gli assalitori filorussi sono stati progressivamente sopraffatti e un gruppo si è sganciato rifugiandosi in piazza: “Alcuni testimoni dicono che sono passati attraverso le linee della polizia senza essere fermati” riporta ancora il Telegraph. Anche secondo il quotidiano The Guardian la polizia si sarebbe comportata in modo da favorire l’azione dei filorussi senza intervenire per fermarli.
Giunti nella piazza antistante il palazzo dei Sindacati, i filorussi hanno costruito barricate. In quella piazza c’era un accampamento di tende dei filorussi che da qualche settimana protestavano contro il governo di Kiev. Essi erano però estranei alle violenze di quel giorno ed erano perlopiù giovani, ragazzi e ragazze, disarmati e provenienti dalle zone circostanti Odessa o dalla città stessa. Il gruppo filorusso che assalì il corteo pro-Maidan, andando in quella piazza, ha esposto altre persone a una violenza di cui non erano responsabili. Non sapremo mai se si è trattato di un calcolo (per usarli come scudi umani, come sostiene qualcuno) o di un caso.
Una cosa è certa, spaventati dall’arrivo dei pro-Maidan i filorussi della tendopoli hanno cercato rifugio dentro il palazzo del Sindacato. I pro-Maidan hanno presto sfondato le barricate erette dai filorussi violenti che sono quindi scappati anch’essi dentro al palazzo del Sindacato. Dentro al palazzo si trovavano quindi manifestanti pacifici, il gruppo di violenti e gente comune che lavorava negli uffici del Sindacato. ”Avevano deciso di farci fuori. Erano arrabbiati per quello che era successo per le strade”, ha detto Alexandra, un residente locale che era tra la folla quel giorno, al corrispondente del Telegraph.
L’incendio, chi è stato?
Arriviamo così al momento che ha trasformato i tafferugli in una tragedia. Non sapremo mai chi ha scatenato l’incendio: se i filorussi dall’interno o le bombe incendiare lanciate dall’esterno da parte degli assedianti pro-Maidan. Questi ultimi sostengono che l’incendio sarebbe scoppiato in modo accidentale al terzo piano dell’edificio, forse una molotov sganciata per sbaglio da qualche filorusso. Molte immagini e video mostrano però che le bottiglie incendiare furono lanciate, e in buon numero, dall’esterno. Può il palazzo essere andato a fuoco non per quelle lanciate dai pro-Maidan ma per una sganciata accidentalmente all’interno dai filorussi? Ricostruire l’accaduto richiederebbe lunghe e dettagliate indagini che, al momento, sembrano impossibili e che in ogni caso potrebbero essere contestate o condotte in modo irregolare.
Sappiamo però che la polizia lasciò fare, senza intervenire come già aveva fatto nel pomeriggio a favore dei filorussi. Sappiamo anche che le persone che si trovavano all’interno dell’edificio sono state aiutate a trovare scampo dalle fiamme anche da alcuni assedianti mentre altri, incuranti, esultavano per l’incendio.
Le vittime e la rabbia
Al momento risultano 46 vittime, morte soffocate e carbonizzate dentro al palazzo. Secondo Russia Today, il canale d’informazione di Stato russo, tra le vittime ci sarebbero 15 cittadini russi. Secondo il Kyiv Post, organo di stampa ucraino filo-occidentale, ci sarebbero stati anche russi residenti in Transnistria. Tali affermazioni sono però state smentite dalla procura.
Il giorno dopo l’incendio a Odessa è esplosa la rabbia dei parenti delle vittime ma anche dei cittadini comuni. Migliaia di persone si sono radunate intorno al palazzo del Sindacato per protestare contro la polizia il cui capo è stato silurato dal governo all’indomani dell’eccidio. Uno di loro, intervistato dal Guardian, era Alexander Lugansky, veterano della guerra in Afghanistan, venuto per deporre cinque garofani rossi: “Mosca e Kiev sono entrambe colpevoli – ha detto – Odessa non perdonerà”.
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