Posted 13 aprile 2014 in Ucraina with 4 Comments
di Matteo Zola
I fatti di Sloviansk
Kiev ha lanciato un’operazione “anti-terrorismo” finalizzata a riprendere il controllo delle città dell’Ucraina orientale dove forze paramilitari filorusse hanno occupato sedi delle istituzioni locali. A far scattare la reazione di Kiev l’assalto alla sede della polizia di Sloviansk, avvenuto il 12 aprile, condotto da un gruppo di uomini a volto coperto, armati di kalashnikov e armi automatiche. Situazione analoga si è svolta a Kramatorsk. A Sloviansk, dopo l’azione dei paramilitari, parte della popolazione è scesa in strada a mostrare il proprio sostegno ai filorussi e il sindaco ha apertamente dato il suo appoggio all’azione.
Secondo il ministero degli Interni di Kiev le forze dell’ordine ucraine sono impegnate in scontri a fuoco a Sloviansk dove, oltre ad alcuni feriti, è stato ucciso un soldato ucraino.
Altre città in mano ai filorussi
A Donetsk intanto continua l’occupazione del palazzo dell’amministrazione locale iniziata ormai una settimana fa. Le forze dell’ordine ucraine non sono ancora intervenute militarmente. Nella giornata del 12 aprile è andata in scena una nuova massiccia manifestazione di piazza a supporto dei filorussi.
A Lugansk, malgrado sia scaduto l’ultimatum di Kiev, i rivoltosi filorussi continuano a occupare la sede principale dell’amministrazione locale.
La minaccia di Mosca
Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha messo in guardia Kiev “dall’usare la forza poiché ogni azione contro i filorussi potrebbe far naufragare i colloqui di pace” previsti per questa settimana. E ha aggiunto: “Quanto sta accadendo nell’est dell’Ucraina dimostra che il governo di Kiev non controlla la situazione“. Il governo di Kiev, dopo giorni di impasse, sembra aver però rotto gli indugi. Il piano anti-terrorismo è scattato poche ore dopo le dichiarazioni del Segretario di Stato americano, John Kerry, che ha minacciato “ulteriori sanzioni” se la Russia non si spenderà per “ridurre la tensione in Ucraina” allontanando le proprie truppe dal confine del paese e smettendo di fornire supporto ai gruppi paramilitari.
L’impasse di Kiev
Il governo ad interim di Kiev si trova da giorni nell’impossibilità di agire: può minacciare lo sgombero degli occupanti filorussi ma non può intervenire per timore di una reazione di Mosca che aspetta solo un casus belli per legittimare il proprio intervento diretto. La propaganda russa, che trova sempre più adepti in Europa, continua a insistere sulla presunta “fascistizzazione” del potere in Ucraina e in Europa. Il nazionalismo russo trova nel nazionalismo ucraino ideale linfa. Non solo. In una Russia che vede il proprio potere economico erodersi a causa della crisi economica internazionale,la politica estera – da sempre l’argomento meno divisivo in Russia – diventa strumento di consenso interno (si legga Russia’s Foreign Policy for the country’s stability, di Serena Giusti, Ispi)
La terza fase della crisi ucraina
La crisi ucraina, dopo gli eventi di “Maidan” e l’occupazione della Crimea, vive una terza intensa fase. Il fronte orientale diventa così il nuovo teatro del contendere tra una Mosca che non vuole perdere il controllo dell’Ucraina e una Kiev ormai allineata al blocco euro-atlantico da cui si aspetta aiuti economici e militari. I colloqui di pace previsti per questa settimana vedono Mosca in posizione di vantaggio: se i negoziati dovessero fallire è facile prevedere un acuirsi degli scontri nell’est del paese.
Il governo di Kiev, strozzato dalla crisi economica e dalla minaccia militare russa, rischia di non reggere l’urto. Ed è proprio quello che Mosca attende. Una crisi politica all’interno della coalizione nazionalista uscita dalle proteste di piazza Indipendenza getterebbe il paese nel caos e consentirebbe alle truppe russe stanziate appena al di là del confine di intervenire per ristabilire l’ordine.
La guerra del gas
Il confronto fra Kiev e Mosca si svolge anche sul terreno dell’energia. Da un lato Mosca è il principale fornitore di gas all’Ucraina (e, per quella via, a buona parte d’Europa), dall’altra Kiev ha il potere di non concedere il transito del gas russo – danneggiando enormemente le finanze di Mosca. In questa “guerra del gas“ Gazprom ha infatti alzato le tariffe passando dai 268 dollari ai 485 dollari ogni 1000 metri cubi dicendo che Kiev non è più idonea allo sconto praticato in precedenza. La controparte ucraina Naftogaz ha reagito sospendendo tutti i pagamenti fino a che non ci sarà una nuova negoziazione sui prezzi.
Quello che appare chiaro è che la crisi ucraina conosce l’avvio di una nuova fase i cui esiti restano imprevedibili. La strategia messa in campo da Mosca, fatta di un costante e progressivo aumento della pressione che mette a nudo la scarsa volontà europea e americana a intervenire nello scenario ucraino, ha fin qui registrato successi. Ma in ogni situazione di tensione c’è un punto di non ritorno superato il quale la tragedia diventa irreversibile.
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