La decisione del primo ministro David Cameron, di lasciar fuori il Regno Unito dall’iniziativa anti-crisi dell’UE, indebolisce il paese e lo allontana dai suoi partners comunitari. L’analisi è di Luiz Alberto Moniz Bandeira, storico e politologo brasiliano, intervistato da Ricardo Gozzi e Gabriel Bueno Da Costa dell’Agenzia di Stato. Nel corso dell’intervista, Moniz Bandeira ha mosso dure critiche al sistema finanziario attualmente in crisi nella zona euro e ha anche avvertito che una eventuale disintegrazione del blocco potrebbe provocare il caos e aggravare ulteriormente la stessa crisi sistemica, con conseguenze disastrose ed imprevedibili per l’intera economia mondiale.
Il primo ministro Cameron ha riferito che la sua decisione si basa sugli interessi economici britannici. Intende anche gli interessi britannici nell’attuale contesto europeo?
La decisione si basa sugli interessi della City di Londra e corrisponde alla visione di forti correnti del Partito Conservatore finanziate dalle banche inglesi, le quali non vogliono la regolazione del sistema finanziario; in sostanza non accettano che le proprie operazioni finanziarie speculative vengano sottoposte a controlli. L’intero sistema finanziario UE realizza questo tipo di transazioni. Per questo la crisi dell’euro continuerà anche dopo l’accordo dei 26 paesi (esclusa, appunto, l’Inghilterra).
Quali sviluppi potrà avere in futuro la posizione di Cameron?
Come ho già detto, lui difende gli interessi della City di Londra e del mercato finanziario. Probabilmente l’Inghilterra continuerà il suo percorso nell’UE nonostante l’opposizione di gran parte della popolazione inglese e del Partito Conservatore, il cui consenso è cresciuto dopo la decisione di Cameron di non firmare l’accordo di Bruxelles. D’altronde il Regno Unito ha destinato almeno il 54% delle sue esportazioni al mercato UE nel 2010, pur restando fuori dalla zona Euro.
E’ infine possibile che la regolamentazione vada a toccare le sue operazioni poco trasparenti nel mercato finanziario della UE, il quale ne ha parimenti compiute e continua a compierne.
C’è il rischio che il Regno Unito cominci ad essere isolato dagli altri membri dell’Unione Europea?
Il professor Paulo Farias dell’Università di Birmingham mi disse che vi è un detto inglese che recita “chi non è a mensa, è nel menu per essere mangiato”.
I membri dell’UE dovranno necessariamente proseguire sulla strada della ulteriore perdita di sovranità in favore delle autorità dell’Unione?
Ovviamente deve mettersi in conto una certa perdita di sovranità. Però gli stati nazionali hanno già perso molta della loro sovranità in quanto ostaggi del sistema finanziario internazionale e devono imporre tagli sociali per avere risorse finanziarie con le quali salvare le banche, soprattutto a causa delle transazioni poco pulite che queste hanno effettuato. Ciononostante, una eventuale disintegrazione della zona euro potrebbe provocare il caos ed aggravare ancor di più la crisi sistemica, con conseguenze disastrose ed imprevedibili per l’intera economia mondiale, a causa degli intrecci fra banche tedesche, francesi ed anche nordamericane con gli stati nazionali ed altre banche, mediante reciproci indebitamenti. Se Grecia, Portogallo o Spagna avessero smesso di pagare le banche, la crisi si sarebbe espansa a dismisura. I numeri della Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS, in inglese) mostravano, nel 2010, che le banche portoghesi dovevano 86 miliardi di dollari alle banche spagnole, le quali, da parte loro, dovevano invece 238 miliardi ad istituti tedeschi, 200 miliardi alle banche francesi e circa 200 miliardi alle banche nordamericane. Attualmente, in funzione dei tassi di interesse che coprono, i debiti devono essere ancora maggiori. La concessione di circa 1 trilione di dollari alla Grecia, promessa dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale, non aveva come obiettivo quello di aiutarla, ma salvare le banche tedesche, francesi e gli investitori nordamericani, che fornivano più di 500 miliardi in prestiti a breve scadenza alle banche europee, soprattutto alle banche delle nazioni più deboli, per finanziarne quotidianamente le operazioni.
(Traduzione di Giacomo Guarini)