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Ufomammut / Black Rainbows / Isaak @ Init, Roma – 4.12. 2014

Creato il 10 dicembre 2014 da Cicciorusso

ufomammut

Mi giro e vedo Fabio, il fedele compagno di mille concerti, che annuisce convinto. Le ultime note di “God” stanno degenerando verso una caotica e sublime overdose sonora, mentre l’Init sembra sul punto di crollare su se stesso come il tempio dei Filistei quella volta in cui a Sansone girarono le palle. Gli Ufomammut hanno richiamato il pubblico delle grandi occasioni per il primo dei due giorni di festival organizzati dalla Heavy Psych Sounds Records, etichetta romana ormai punto di riferimento della scena “pesante” nazionale (e non solo). Il secondo vedrà sul palco Wild Eyes e The Wisdoom, dei quali scriveremo in seguito.

La truppa di Metal Skunk è presente quasi al gran completo, ulteriore motivo per rosicare nel caso in cui abbiate preferito il divano di casa al sacro fuoco del metallo. Sull’intero locale aleggia anche lo spirito del Masticatore, presenza più volte avvistata ma mai confermata. Stefano Greco addirittura mi presenta un ragazzo mite e pacato che si spaccia per lui: gli stringo la mano e rimango dubbioso. Io il Masticatore me lo immagino alto due metri e con le fauci sporche di budella umane, non gentile e sereno come la persona che ho conosciuto.

Isaak MS
La sala è ancora mezza vuota quando i genovesi ISAAK salgono sul palco. Gli ex Gandhi’s Gunn sono stati a lungo presenza fissa nel mio giradischi con quella gemma che risponde al nome di “The Longer The Beard, The Harder The Sound”, un album bello almeno quanto il suo titolo. Prendete l’ugola di Neil Fallon, la sezione ritmica dei Red Fang, un certo gusto melodico tipico delle ultime produzioni targate Mastodon e l’attitudine caciarona dei Torche, mescolate il tutto e avrete il gruppo dei sogni a cui si ispirano gli Isaak. Bastano poche note perché la gente abbandoni il cazzeggio birroso all’esterno e si precipiti dentro.

I ragazzi pestano dannatamente duro e non poche teste iniziano a roteare. Brani come “Haywire” e “The Right Time” sono tra i migliori pezzi stoner mai partoriti al di qua delle Alpi e dal vivo scatenano il panico. Peccato solo che la splendida voce di Giacomo Boeddu si senta poco, neo marginale in una prestazione davvero mostruosa. Gli applausi scrosciano copiosi già prima del debutto live dell’epica “The Choice”, una cavalcata di quindici minuti inclusa nello split con i Mos Generator che la Heavy Psych Sounds ha appena stampato su vinile con la consueta cura stilistica. Dopo c’è spazio solo per ovazioni e corna al cielo. Grandissimi.

Stefano e Fabio corrono subito verso il ricchissimo banchetto del merchandising per prendere il loro CD. Io il disco ce l’ho già e decido di investire in una sobria maglietta con un vecchio barbuto e fumato, ideale per il prossimo pranzo di Natale. Ormai non compro più capi di vestiario sui quali non sia disegnata almeno una barba: dev’essere un riflesso condizionato, dovuto al fatto che non tocco un rasoio da quando è uscito l’ultimo album dei Tool.

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Giusto il tempo di sfogliare con malcelata cupidigia il catalogo dei poster di Malleus e i BLACK RAINBOWS sono pronti a fare gli onori di casa. La band è sempre una sicurezza. Avrò visto Gabriele & Co. decine di volte e li rivedrei senza la minima esitazione altre decine. A ‘sto giro decidono di proporre dal vivo un bel po’ dei brani che andranno a comporre “Hawkdope”, il nuovo album: il set risulta quindi meno psichedelico del solito ma assai più abrasivo, diretto, a tratti smaccatamente rock ‘n’ roll. L’ormai numeroso pubblico apprezza e acclama. Anche il classico omaggio finale agli MC5 viene sostituito da un inedito molto sabbathiano, giusto per ribadire (semmai ce ne fosse bisogno) a chi dobbiamo il nostro essere qui oggi. L’attesa per il prossimo disco non può che uscirne rafforzata.

L’Init ci mette poco a ribollire mentre speciali addetti della NASA aggiustano gli strumenti per l’imminente odissea nell’iperuranio. Gli UFOMAMMUT tornano a Roma dopo nemmeno un anno dall’ultima apparizione: l’occasione è ancora una volta la celebrazione del terzo lustro di attività del gruppo e la setlist ripercorre fedelmente l’intera carriera dei tre druidi di Tortona. Dalle viscere della Terra viene subito vomitata “Superjunkhead”, ma la potenza del pezzo risulta un po’ affievolita a causa di un’acustica non proprio ottimale. Faccio qualche passo avanti e mi posiziono meglio.

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L’iniziale (e infernale) giro di basso di “Oroborus” rimette i tasselli a posto e spalanca le porte di un abisso in cui galassie lontane si scontrano fragorosamente. La resa sonora diventa relativa, così come l’efficacia degli splendidi visual proiettati alle spalle della band: lo show degli Ufomammut prescinde da tutto ciò, o, per meglio dire, lo sublima. Siamo davanti a uno spettacolo assimilabile per certi versi solo all’estasi ipnotica degli Sleep o al pachidermico incedere dei Neurosis, qualcosa di totalizzante e annichilente.

“Stigma” è la colonna sonora di un tuffo nelle profondità del cosmo, al termine del quale l’amorevole Matthew McConaughey di “Interstellar” viene stato divorato da un Balrog assetato di sangue e in bramosa attesa di nuove prede. Il massiccio incipit di “Sulphurdew” scatena anche un discreto pogo, ma la maggior parte degli astanti è completamente rapita dalla tempesta sonora e non sembra capace di muovere mezzo muscolo.

Dopo una quantità di tempo non calcolabile attraverso meri parametri umani, incrocio lo sguardo di Fabio. Annuisce convinto, poi mi dice qualcosa.

Io non capisco nulla.

Probabilmente sono ancora perso tra Urano e Nettuno.



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