“Love isn’t always pretty. Sometimes you spend all your time hoping it’ll eventually be something different. Something better. Then, before you know it, you’re back to square one, and you lost your heart somewhere along the way.”
“Ugly love” è l’ultimo uscito dell’incredibile Colleen Hoover, uno stand alone che prometteva di essere l’ennesimo capolavoro e che invece mi ha lasciato con l’amaro in bocca. Certo parla delle mille facce dell’amore, parla di una tragedia terribile, parla di come anche dagli eventi più terribili della propria vita ci si possa risollevare. Ma di certo non è ciò che mi aspettavo, ci sono dei passaggi e delle scelte che non posso approvare e ad un certo livello la Hoover mi ha delusa, profondamente.
Quando Tate Collins incontra il pilota di linea Miles Archer, sa che non è amore a prima vista. Non andrebbero neanche così lontano da considerarsi amici. L’unica cosa che Tate e Miles hanno in comune è un innegabile reciproca attrazione. Una volta che il loro desiderio è allo scoperto, si accorgono che hanno per le mani la situazione perfetta. Lui non vuole l’amore, lei non ha tempo per l’amore, così questo lascia solo il sesso. Il loro accordo potrebbe essere sorprendentemente senza pecche, se Tate può rispettare le sole due regole che Miles ha per lei.
Non chiedere mai del passato.
Non aspettarti un futuro.
Pensano di poter gestire il tutto, ma si accorgono quasi immediatamente che non possono gestirlo per niente.
I cuori vengono penetrati.
Le promesse non sono mantenute.
Le regole vengono spezzate.
L’amore diventa orribile.
Avete presente quando aspetti un libro con tutto te stesso e quando lo hai per le mani, lo leggi e lo finisci ti lascia esausto e incerto? Non sono riuscita a capire subito se mi fosse piaciuto o meno, appena finito non mi sono resa conto che ci fossero delle note stonate. È una settimana che ci rifletto sopra, che lo mastico e mi sono resa conto che non è il libro che volevo leggere.
“Ugly love becomes you. Consumes you. Makes you hate it all. Makes you realize that all the beautiful parts aren’t even worth it. Without the beautiful, you’ll never risk feeling the ugly. So you give it all up. You give it all up. You never want love again, no matter what kind it is, because no type of love will ever be worth living through the ugly love again.”
Queste le premesse della storia, questi i presupposti su cui ci muoviamo. L’amore può essere terribile, è quando lo perdi che resti intrappolato in vicende troppo ingiuste per riuscire ad essere obiettivi sulla propria vita. E la Hoover non si ferma. Abbiamo Miles, un pilota che si immerge nel lavoro e che per sei anni ha chiuso qualsiasi tipo di contatto, riuscendo a stare insieme ad Ian, il suo migliore amico da sempre e Corbin, il fratello di Tate. Miles non è cattivo fondamentalmente, non è uno che non crede all’amore, non è quei classici personaggi da romanzo per cui l’amore è un mito e che preferisce gettarsi tra le braccia di una donna diversa ogni sera. No Miles è un bravo ragazzo, uno che all’amore ci ha creduto così tanto che quando lo ha perso non lo ha voluto più. Incontrare Tate è un risveglio, dall’intorpidimento che deriva dalla mancanza di una relazione con l’altro sesso. Tate è una molla che da nuova vita ad un meccanismo inceppato. Miles è un personaggio interessante, pieno di contraddizioni ed è facile cadere per lui.
Ma dall’altra parte Tate è un personaggio insipido, non sappiamo quasi nulla di lei, tranne che si innamora di Miles, che vuole salvarlo. Ma in questo tentativo disperato si perde, perde di vista le cose importanti e si lascia sotterrare dal peso del dolore di Miles. E questo non lo posso sopportare in un libro, in una romance, in un rapporto d’amore. Tate non può accettare indifferente “la scena del tavolo della cucina” e pensare di giustificare Miles, non ci credo che in poco tempo il ragazzo riesca a smuoversi, non ci credo che la Hoover abbia spezzato negli ultimi capitoli una storia che era partita male e, che per quanto confermata nell’happy ending, precipita nel nulla.
“God gives us the ugliness so we don’t take the beautiful things in life for granted.”
Tutte le mie convinzioni mi spingono lontano, ma certo le brutture mettono in evidenza la positività di certe scelte. Ma in un certo qual modo questo non può giustificare le scelte di Tate. E no, non ce la faccio a giustificare quelle della Hoover.
Uno dei pochi personaggi che hanno risollevato il libro è Samuel, Cap, il vecchietto ottantenne che spinge i pulsanti dell’ascensore, il confidente di Tate, che mi ha fatto sbellicare dalle risate per la sua onestà.
La storia è ambientata a San Francisco, ma non c’è niente di concreto che faccia riconoscere la città, visto che l’ambientazione principale è quella dell’edificio in cui abitano i due protagonisti e in cui si consumano gran parte dei loro incontri.
La Hoover sceglie di raccontare le vicende in maniera alternata, usando i due punti di vista dei due ragazzi, ma se Tate è completamente concentrata sul presente, sugli incontri con Miles, la passione che sorge spontanea tra loro, Miles vive nel passato, quel passato che lo ha spezzato, lo ha consumato, lo ha lasciato un guscio vuoto. Quando passato e presente collidono, l’esplosione non è quella che mi aspettavo e mi ha lasciato completamente spenta, e insicura.