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Ulisse. Chi era costui?

Creato il 14 febbraio 2011 da Sulromanzo

OdisseoI libri, bisogna ammetterlo, sono come la vita. Come i luoghi che ci fanno una certa impressione quando siamo bambini e che, rivisitati da grandi, ci lasciano senza fiato, per quanto falso sentiamo dentro di noi il ricordo che ne avevamo, nel confronto inesorabile col presente. Così un libro letto da adolescenti, può sembrarci, riletto da adulti, completamente diverso. Diverse le emozioni che esso ci trasmette, diverse le riflessioni che ci suscita. E questa impressione di diversità può risultare ancora più intensa se tra la lettura di un romanzo o di un testo fatta da adolescenti e quella poi ripetuta da adulti disincantati, abbiamo letto altri libri, altri saggi riguardanti proprio quel romanzo o quel particolare personaggio che tanto ci aveva colpito molti anni prima.

 

A me è capitato di pensare a come mi avevano coinvolto da adolescente le avventure di Ulisse.

Mi lasciavo impressionare dalla figura “cattiva” di Polifemo e ammiravo la furbizia di Ulisse, capace di ingannarlo con il nome di Nessuno, e sentivo anche per il povero gigante un senso di pietà, un leggero sottofondo di solidarietà per la rozza vittima dell’astuzia più raffinata.

Mi colpiva l’audacia di Ulisse, la sua volontà di conoscere il segreto del canto delle Sirene prevedendo il pericolo e mettendo in anticipo al riparo i suoi compagni dal terribile e seducente canto e dalle sue stesse richieste di essere liberato.

E così anche altri episodi mi rapivano l’immaginazione: la terra dei mangiatori di Loto, la Maga Circe, l’otre con i venti di Eolo, l’uccisione dei bovi sacri fino al ritorno dell’eroe ad Itaca e l’uccisione dei Proci. Ogni disavventura mi sembrava semplice da comprendere, ogni episodio era come una storia che racchiudeva una morale precisa, facile da recepire e da ritrovare in altre forme, nella vita reale.

 

Poi mi sono ricordato di alcuni libri che nel corso degli anni avevo letto con grande interesse. Libri che, tra i tanti argomenti che affrontano, parlano di Ulisse, ne approfondiscono la figura, analizzando grazie all’efficace e profonda intelligenza degli autori, la complessità semantica del personaggio.

Cerco di delineare brevemente alcuni concetti espressi in ciascuno di essi.

 

Il primo è: Emmanuel Lévinas, “La Traccia dell’Altro”. L’itinerario della filosofia occidentale viene paragonato dall’autore al mito di Ulisse, la cui avventura si conclude, dopo varie peripezie, con il ritorno a Itaca, la sua isola naturale, ossia al “Medesimo”. Secondo Lévinas nella vicenda di Ulisse non c’è vero esodo e l’esplorazione dell’altro da sé costituisce solo un momento dell’autocoscienza di sé. Quando l’eroe ritorna a casa, alla fine, la serva, la moglie Penelope, il figlio Telemaco, persino il cane Argo lo riconoscono. È sempre il padrone di un tempo. Egli non è cambiato. È il ritorno dell’identico. Lévinas sostiene che nelle avventure di Ulisse non c’è tanto un itinerario di formazione, di apertura verso l’altro, quanto una continua affermazione di sé, della propria individualità e della propria egocentrica intelligenza. Alla figura di Ulisse così delineata il filosofo contrappone la figura di Abramo che rappresenta il paradigma della verità nomade, della ricerca insonne ed esausta, dell’attesa e della speranza, dell’esodo perenne e del soggiornare in un non-luogo, poiché il viaggio stesso è il luogo del soggiorno. La contrapposizione di Abramo ad Ulisse è la contrapposizione del pensiero biblico al pensiero metafisico, dell’ethos ebraico al logos greco. Lévinas ci invita a cercare di ripensare il mito greco secondo l’ethos biblico dell’apertura, del confronto. Poiché la salvezza non è in un ritorno ma in un’uscita.

L’autore parla di un’etica come metafisica ontologica. L’etica, un valore, appunto, qualcosa di metafisico, che si compie pienamente nella sua coincidenza con l’Essere, supremo concetto della filosofia occidentale. È Ulisse che rappresenta questa etica.

Vi contrappone un’etica intesa come metafisica non ontologica, cioè un valore, un criterio morale che si definisce, non nel momento in cui coincide con il concetto astratto dell’Essere, ma quando viene sperimentata nel confronto con l’altro. È Abramo che rappresenta questa etica.

 

Il secondo libro è: Erich Auerbach, “Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale”, un classico della filologia.

Nel primo capitolo viene analizzato il brano dell’Odissea in cui la serva Euriclea, lavando i piedi allo straniero arrivato ad Itaca ne riconosce la cicatrice e comprende che si tratta proprio di Ulisse, il suo padrone. L’autore confronta questo brano con quello del Vecchio Testamento in cui Abramo conduce il figlio al sacrificio come gli ha ordinato Dio.

L’Auerbach studia gli stili dei due testi e ci mostra quanto siano diversi e contrapposti.

Lo stile omerico è ricco di descrizioni particolareggiate, una luce sempre uguale, collegamenti senza lacune, espressioni franche, primi piani, evidenza degli oggetti e dei personaggi, limitazioni per quanto è sviluppo storico e problematica umana.

Nello stile biblico il rilievo è dato solo ad alcune parti, c’è un oscuramento di certe altre parti o situazioni, prevale uno stile rotto, è molto forte la suggestione del non detto, gli sfondi sono molteplici e richiedono interpretazioni continue, si avverte la volontà di una rappresentazione del divenire storico con l’esigenza di un approfondimento del problematico.

A questi due stili corrispondono due tipologie di ritratti dell’essere umano.

Ulisse da Alcinoo
Consideriamo alcuni personaggi di Omero. Penelope al ritorno di Ulisse, appare sempre la stessa. Personifica perfettamente la fedeltà al marito ormai lontano da vent’anni. La massaia Euriclea, così come Eumeo, il pastore dei porci al servizio di Laerte, padre di Ulisse, è un personaggio completamente definito nel rapporto con la famiglia che serve. Ma né Euriclea, né Eumeo sembrano avere una vita propria e propri sentimenti. Essi si esauriscono completamente nel rapporto che hanno con i loro signori.

I personaggi omerici «sono descritti eccellentemente con molte parole bellissime, ad essi si attaccano epiteti, le loro passioni si manifestano interamente nei loro discorsi e nei loro gesti, ma non hanno alcun sviluppo e la loro storia presenta un unico aspetto. Gli eroi omerici sono tanto poco rappresentati nel loro divenire, che per la maggior parte, Nestore, Agamennone, Achille, appaiono in un’età della vita fin dal principio immutabile. Perfino Ulisse, che nel lungo corso di tempo e durante le molte avventure offre tanta ragione per uno sviluppo individuale, non ce ne fornisce quasi nessun esempio».

Parlando invece dei personaggi del Vecchio Testamento, così si esprime l’autore: «Abramo, Giacobbe e persino Mosè sono personaggi più concreti, più vicini e più storici che i personaggi del mondo omerico, non perché siano descritti meglio, anzi è proprio il contrario, ma perché nella loro rappresentazione non soltanto non è cancellata, ma anzi è conservata in modo ancora evidente la molteplicità degli eventi interni ed esterni, quelli che si ritrovano nella vera storia confusa e contraddittoria».

 

Il terzo libro è: Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, “Dialettica dell’illuminismo”. Ho letto da qualche parte che l’autore del capitolo intitolato “Odisseo, o mito e illuminismo” è Adorno. Così almeno so a chi “dare la colpa” per delle pagine così intense, belle e difficili! Pagine che rileggerò ancora perché la loro ricchezza non è certo assimilabile, almeno per me, al primo colpo. E tuttavia cerco di esprimere alcuni concetti che mi sono sembrati fondamentali. Secondo l’autore lo spirito omerico si impadronisce dei miti, li organizza. E il perno su cui si basa questa organizzazione è il personaggio di Ulisse. È lui che si confronta con gli dèi, le maghe, gli incantesimi, i ciclopi. È lui che si spinge fino a cercare di carpirne il segreto, di dominarne il potere, di modificare i risultati delle loro azioni. E persegue questo tentativo non certo cercando di acquisire una forza superiore alle maghe, ai ciclopi e agli dèi. Se Ulisse pensasse di avere più potere di un dio, più forza di un ciclope, allora ci sarebbero due possibilità. O diventerebbe pazzo, poiché egli è uomo e non può trasformarsi in una divinità. Sarebbe come lo “scemo” che banalmente sostiene di essere Napoleone. Oppure, se fosse l’autore, il poeta, Omero il creatore, insomma, a farlo diventare Dio, allora, verrebbe delineata una dialettica uomo/Dio, possibile nell’ambito di un’invenzione letteraria ma banale nell’ambito dello sviluppo di una narrazione che voglia interpretare la realtà. Sarebbe come se uno scrittore, a un certo punto della storia, non sapendo come risolvere un intreccio complicato facesse intervenire un Deus ex machina che in un secondo sistema tutto e permette un finale felice. No! Niente di tutto questo. Ulisse si confronta con dèi e giganti e riesce a indirizzare gli effetti delle loro azioni attraverso l’immenso potere della sua razionalità, della sua intelligenza. È la dialettica mito/astuzia, in cui il mito sembra soccombere sotto i potenti colpi del pensiero illuministico. Solo che poi questo pensiero è talmente pervasivo del modo di vedere il mondo che entra in contraddizione con se stesso. È la stessa razionalità dell’uomo moderno che si spinge troppo oltre e diventa essa stessa mito anche se l’uomo sembra non accorgersene. Ricordiamoci dell’episodio di Polifemo. Ulisse dopo aver ingannato il ciclope, dopo essere fuggito dalla grotta che cosa fa? Sembra non accontentarsi. Grida dalla barca contro il gigante accecato. Rivendica con sarcasmo la superiorità della sua intelligenza. E per poco non permette a Polifemo di colpire la sua nave con il lancio di un masso. Ulisse va oltre, è inebriato dalla potenza della sua astuzia. È l’uomo dei giorni nostri che si sente onnipotente per aver saputo organizzare la sua vita in base alla ragione, alla scienza.

L’episodio finale dell’uccisione dei Proci sembra decretare la vittoria finale e assoluta della razionalità. Non tanto e non solo perché Ulisse riconquista il suo posto nella sua isola uccidendo gli usurpatori, ma soprattutto per il modo con cui tutto ciò avviene. In questo caso la vittoria non si realizza contro qualche personaggio mitico ma contro uomini come lui. E per vincere basta applicare le regole del diritto, della ragione, dell’illuminata razionalità. Non c’è più bisogno di rifarsela con qualche dio capriccioso quando ogni cosa è dominata dalla scienza positiva.

 

Ecco dopo aver ripercorso la figura di Ulisse attraverso questi libri, provo a ricordarmi degli episodi che tanto mi avevano affascinato da adolescente. Però adesso è tutto più complicato. Non è più la stesa cosa. È diventato tutto così difficile. Di chi è la colpa? Di Lévinas, dell’Auerbach e di Adorno? No. Loro non c’entrano. È colpa di Ulisse! Chi era costui? È proprio Ulisse che è cambiato! No…Troppo comodo! Nemmeno lui c’entra.

E se invece fossi cambiato io?


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