Atena (Minerva dea della guerra) spinta da compassione, decide di chiedere aiuto a Zeus per il suo rientro a casa.
E’ così che comincia il poema che Omero a lui dedicò (VIII-IX sec. a.C.), suddiviso in 24 canti:
Telemachia I-IV
Viaggi di Ulisse V-XII
Ritorno e vendetta di Ulisse XIII-XXIV.
Tramandato oralmente da aedi e rapsodi, il poema divenne forma scritta per volere di Pisistrato, tiranno ateniese (che ringraziamo ‘solo’ per la gentile collaborazione).
Non molto alto, fisico scolpito e segnato dalle guerre, folta chioma, barba. Occhi neri, vispi e intensi, pelle scura baciata dal sole e dalla salsedine… è Odisseo alias Ulisse re di Itaca.
Forte, astuto, multiforme, tenace, paziente, acuto, ma anche fragile.
Atena lo prescelse perché dotato della stessa intelligenza di Zeus e gli affidò il compito di trattenere la fuga dell’esercito acheo da Troia.
Partito per la guerra comandata da Agamennone, al quale era molto fedele, riuscì con astuzia ed un piano perfetto, ad escogitare il modo per far entrare nelle mura della città i suoi soldati: costruì il famoso cavallo di legno. La città fu rasa al suolo e mise la parola fine ad un conflitto che durava da dieci anni. Durante tutto il suo percorso da guerriero, vennero a lui affidati incarichi delicatissimi, di ragionamento, di logica perché uomo eloquente e di senno.
Ma il suo ritorno a casa non fu affatto semplice.Ha navigato e toccato terre sconosciute, in ogni luogo un’avventura. Uomo errante, aveva un profondo senso della conoscenza e ad ogni approdo, non si limitava solo a far rifornimento di cibo e di acqua, lui amava conoscere i popoli, le usanze, il modo di vivere. La sua, era brama di sapere.Dicevamo, finita la guerra, le navi salparono per il ritorno in patria, ma un vento fortissimo si levò, staccò dalla flotta di Agamennonele navi di Ulisse, di cui si persero le tracce.“Ma doppiando il Malea, la corrente, le onde,e Borea mi deviarono, m’allontanarono oltre Citera”.(Odissea, IX, 80-81)
Citera il primo approdo, la terra dei Ciconi conquistata e saccheggiata da lui ed i suoi uomini durante la guerra. Qui sulla terra ferma lo riconobbero e lo misero in fuga.
Rimessosi in viaggio…“Per nove giorni fui trascinato da venti funesti sul mare pescoso: al decimo giorno arrivammo alla terra dei Mangiatori di loto [Lotofagi], che mangiano cibi di flori.”(Odissea, IX, 80-84)
Approda sull’isola dei Lotofagi, terra ridente e fiorita e dei mangiatori di Loto, fiore dell’oblio. La decisione presa, fu quella di mandare i suoi uomini più saggi a conoscere il popolo, ma questi, dopo aver mangiato il fiore, scelgono di restarci piuttosto che tornare in patria.
Il numero dei suoi uomini calava vertiginosamente, ma, andando contro il loro volere, ripartì.
Dopo aver navigato per una notte intera, Ulisse approda su un’isola che si presentava da un lato sabbiosa e piatta e dall’altra rocciosa e montuosa. Incagliate le navi nella parte bassa, lui e i suoi uomini si fermarono per riposare. Al risveglio il viaggio proseguì verso la parte rocciosa. Erano nella terra dei Ciclopi, creature mostruose, con un solo occhio in mezzo alla fronte.
Qui affronta Polifemo, figlio di Poseidone (Nettuno) re del mare. “Rapidamente all’antro arrivammo, ma dentro non lo trovammo; pasceva pei pascoli le pecore pingui.Entrati nell’antro osservammo ogni cosa;dal peso dei caci i graticci piegavano;steccati c’erano per gli agnelli e i capretti [...].Là, acceso il fuoco, facemmo offerte, e anche noi prendemmo e mangiammo formaggi, e l’aspettammo dentro,seduti, finch’è venne pascendo; portava un carico greve di legna secca, per la sua cena.E’ dentro l’antro gettandolo produsse rimbombo,noi atterriti balzammo nel fondo dell’antro”.(Odissea, LX, 216-236) In realtà Polifemo era un mangiatore di carne umana, aveva un grande bestiame, che a sera riconduceva in una grotta. Chiudeva l’antro con un masso enorme. E’ qui che Ulisse ed i suoi uomini restano imprigionati, ma la sua astuzia e la capacità di persuasione, inducono il ciclope a cadere in tre inganni.
Riuscì a banchettare con Polifemo, a dialogare cordialmente ed a farlo ubriacare. Quando il mostro chiese il suo nome, Ulisse rispose di chiamarsi ‘Nessuno’.
Nessuno ed i suoi amici, sarebbero stati divorati il giorno seguente, questa fu la promessa del mostro prima di addormentarsi.
Caduto nelle braccia di Morfeo, il ciclope fu accecato con un tronco di legno rovente, Ulisse legò i suoi uomini alle pecore, si legò ad un ad un ariete, riuscendo a rimuovere il masso che chiudeva la grotta e scapparono via. Nel frattempo Polifemo svegliatosi per il grande dolore, cominciò ad urlare ed a invocare l’aiuto dei suoi fratelli ciclopi: ‘Nessuno mi ha accecato! Nessuno mi ha cavato un occhio!” (Probabilmente dimenticava di averne solo uno).
Chi arrivò a soccorrerlo? Nessuno ovviamente, non aveva senso quel che diceva e quindi fu semplicemente preso per pazzo.Giunti alla nave, levarono le ancore e ripartirono.
L’approdo fu sull’isola di Eolo.“E all’isola Eolia arrivammo; qui stava. Eolo Ippotade, caro ai numi immortali, nell’isola galleggiante: tutta un muro di bronzo,indistruttibile, la circondava, nuda s’ergeva la roccia”.(Odissea, X, 1-4)
Quando giunsero su quest’isola, furono ben accolti ed Eolo, Dio dei venti, regalò ad Ulisse un otre che racchiudeva tutti i venti contrari alla navigazione, lasciando libero solo Zefiro, vento propizio.
Si rimise in viaggio e navigò per nove giorni e notti, ma al decimo i suoi uomini, credendo che l’otre contenesse un tesoro, l’aprirono, scatenando una tempesta che li riportò nuovamente al cospetto del Dio dei venti. Ma stavolta Ulisse fu cacciato in malo modo e gli fu negato il diritto all’ospitalità .Con le vele danneggiate dalla tempesta scatenata dai venti, Ulisse fu costretto a far remare i suoi uomini, per sei notti e sei giorni sino all’arrivo nella terra dei Lestrigoni…“Sei giornate di seguito navigammo di giorno e di notte,la settima toccammo l’altissima rocca di Lamo,Telépilo Lestrigònia […].(Odissea, X, 80-82)
Antropofagi che massacrarono nel porto molti uomini. Di tutta la flotta, restava solo la sua perché attraccata più lontano. Solo per questo lui ed alcuni ebbero salva la pelle.Il suo viaggio riprende. Le correnti marine lo portano ad approdare sull’isola di Circe, una maga.“E quando con la nave l’Oceano avrai traversato,dov’é una bassa spiaggia e boschi sacri a Persefone,alti pioppi e salici dai frutti che non maturano,tira in secco la nave in riva all’Oceano gorghi profondi,e scendi nelle case putrescenti dell’Ade”(Odissea X, 507,512)Qui riposano per tre giorni, il quarto alcuni uomini vanno in perlustrazione.
Quell’isola sembrava disabitata perché era presente una vegetazione fitta. Ma nel suo interno, in una vallata, c’è un palazzo dal quale si udiva una voce dolcissima e melodiosa. Tutti gli uomini eccetto uno, Euricolo, entrarono nel castello dove vennero ben accolti dalla padrona di casa, colei che cantava…la maga.
Invitati ad un banchetto e dopo aver assaggiato le vivande, si trasformano tutti in animali; maiali, cani, leoni a seconda del proprio carattere e della propria natura. Furono rinchiusi di seguito, nelle stalle.
L’unico salvo tornò alla nave e raccontò l’accaduto ad Ulisse, il quale, mentre si avviava verso il palazzo, incontra il Dio Ermes che gli dona il Moli, erba che, mischiata al cibo offerto dalla maga, non dava efficacia all’incantesimo.
Così fece quando Circe gli offrì da bere.
Non trasformatosi, Ulisse minaccia di ucciderla e lei, ammettendo la sua sconfitta, leva l’incantesimo ai malcapitati ed offre la possibilità di restare sull’isola sin quando avessero riparato la nave.
Si racconta che ci rimasero un anno e che Circe si innamorò di lui. I due concepirono anche un figlio Telegono, ma la voglia di ritornare a casa dei compagni, lo costrinse a ripartire.
Prima di farlo però, chiese a lei la strada migliore per il ritorno. La maga gli consigliò di visitare gli inferi e di consultare l’ombra dell’indovino Tiresia.“[...] alle case dell’Ade e delta tremenda Persefone,a interrogare l’anirna del tebano Tiresia,il cieco indovino, di cui salda resta la mente [...]“(Odissea, X, 491-493)
Negli inferi, alla dimora di Tiresia sull’isola di Imera, Ulisse ci arriva dopo un viaggio che dura dall’alba al tramonto. Incontra l’indovino, ma prima offre a lui degli animali sgozzati. Solo dopo essersi saziato del loro sangue, l’indovino comincia a parlare.
(Si racconta che nell’Ade i morti si cibassero di sangue animale).
Il responso non fu proprio felice: avrebbe dovuto subire per tutto il viaggio l’ira di Poseidone. Tiresia gli parlò di buoi e gli disse che la sorte sua e dei suoi amici sarebbe dipesa da quello che avrebbero fatto agli animali. Accenni ci furono anche sulla situazione ad Itaca…. ma che vendetta sarebbe stata compiuta.
In ultimo, che l’ira di Poseidone, lo avrebbe ucciso in un suo ultimo viaggio.(In questo breve viaggio, incontra anche sua madre, morta durante la sua assenza, Agamennone e Achille eroi di cui si parla nell’ Iliade, primo poema di Omerica memoria, nel quale viene citato per la prima volta Odisseo).Tornato dagli inferi, Ulisse incontrò nuovamente Circe che lo mise in guardia dal canto delle sirene:“Poi quando lontano di là avranno spinto i compagni la nave, allora non posso più esattamente segnarti quale dev’esser la via: tu da solo col tuo cuore consigliati: io ti dirò le due rotte.Di qua rupi altissime, a picco: battendole, immane strepita il flutto dell’azzurra Anfitrite;“Rupi erranti” gli déi betai le chiamano. [...]Mai scampò nave d’uomini che qui capitasse,ma tutto insieme, carcasse di navi e corpi d’uomini l’onde del mare e la furia d’un fuoco mortale travolgono”.(Odissea, XII 55-68).
Ripartì… quelle lo aspettavano, sedute sugli scogli, ma non avevano fatto i conti con l’intelligenza del navigatore in questione. Infatti, lui ordinò ai suoi compagni di viaggio di coprirsi le orecchie con tappi di cera, di legarlo all’albero maestro della nave ed impose loro di non ascoltare nessuno dei suoi comandi, ma di stringere ancor più forte con le corde e di continuare a remare.
Così fecero.
Ulisse decise di ascoltare il canto delle ammaliatrici, questo sempre in virtù della sua sconfinata curiosità.
(La storia racconta che le Sirene, indispettite dal proprio insuccesso, si buttarono in mare ed affogarono).Altre raccomandazioni furono quelle su Scilla e Cariddidue mostri marini.“E poi i due Scogli: uno l’ampio cielo raggiunge con la cima puntuta: e l’avviluppa una nube livida [...].A metà dello scoglio c’è una buia spelonca [...].Là dentro Scilla vive [...].(Odissea, XII, 73-85)
“L’altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo,vicini uno all’altro, dall’uno potresti colpir l’altro di freccia.Su questo c’è un fico grande, ricco di foglie:e sotto Cariddì gloriosa l’acqua livida assorbe”.(Odissea, XII, 101-104)
La prima da splendida ninfa tramutata da Circe in mostro dai dodici piedi e dalle sei teste, nelle cui bocche spuntavano tre file di denti, perché l’uomo di cui si invaghì di codesta fanciulla, era amato dalla maga. L’unico modo per difendersi da lei, era quello di invocare l’aiuto della ninfa del mare Crataide, sua madre.
La seconda invece, è figlia di Poseidone. Tormentata da una grande voracità, ruba e divora alcuni buoi, Giove (Zeus) la fa precipitare con un fulmine nel mare e la trasforma in mostro marino con le sembianze di un vortice, capace di ingoiare intere navi.Ulisse decise per la via di Scilla verso sud, la via più vicina alla Grecia, anche perché Cariddi avrebbe risucchiato la nave.
Durante il passaggio, il mostro a sei teste catturò e divorò sei dei suoi uomini.
Arrivarono navigando all’isola di Trinacria.
“Piuttosto lungo lo scoglio roccioso di Scilla navigando veloce fa passare la nave [...]E all’isola Trinachia verrai: qui in numero grande vari, pascolando le vacche del Sole e le floride greggi [...](Odissea, XII, 108-128)
Ivi giunti fece giurare ai suoi compagni, che per nessun motivo, avrebbero dovuto toccare gli animali Sacri al Dio Sole. Lui patì la fame, ma i suoi uomini vennero meno al giuramento, banchettando per sei giorni e ammazzando le vacche sacre.I venti contrari scatenati dagli Dei li tennero bloccati sull’isola. Il settimo giorno, quando smisero di soffiare, Ulisse e i suoi compagni salparono in fretta, ma in pieno mare, Zeus pose su loro una nuvola che scatenò una tempesta così forte che li trascino violentemente per tutta la notte. Alle prime luci del sole si ritrovarono nuovamente tra Scilla e Cariddi.
Cariddi inghiotte la nave. Affogano tutti tranne Ulisse, riuscito ad aggrapparsi all’albero di fico sopra la scogliera dove dimorava il mostro.
La nave venne risputata. Lui, aggrappandosi all’albero maestro ed ormai solo, viene trascinato in un’altra tempesta, per altri nove giorni.Al decimo giorno, si ritrova sulle coste dell’isola di Ogigia.
Dorme sfinito sul bagnasciuga per tre giorni fin quando non viene ritrovato dalla Ninfa Calipso e le sue ancelle.
Qui viene curato ed amato. Sì lei si innamora e lo trattiene sull’isola per sette lunghi anni. Sempre gentile e premurosa chiede il suo amore in cambio dell’immortalità, ma Ulisse non accetta e pur non resistendo al fascino della bella ninfa, sente forte il desiderio di tornare a casa.Le lacrime di Ulisse vennero accolte da Atena, la quale, dispiaciuta per il suo protetto, chiese a Zeus di intervenire.
Fu mandato il Dio Ermes e Calipso dovette a malincuore accettare il volere degli Dei. Aiutò il naufrago, fornendolo di legna per costruirsi una zattera e provviste per il viaggio.Partì ma l’ira e la collera di Poseidone per avergli accecato il figlio Polifemo non si erano ancora placate. Il dio scatenò un’altra tempesta che sfasciò la zattera e lasciò Ulisse aggrappato ad un relitto. Va in suo soccorso la Ninfa Leucotena, che gli dona una fascia miracolosa. La fascia lo fa nuotare ed arrivare sulle rive dell’isola di Scheria, la terra dei Feaci.
Qui viene trovato addormentato da Nausicaa, figlia del re Alcinoo, che dopo averlo ascoltato, lo conduce dal padre.
Trattato benissimo, viene invitato ad un banchetto. Qui un aedo comincia a cantare le gesta di Ulisse eroe e lui, che sino a quel momento aveva taciuto il suo nome, la sua identità, lo guarda e comincia a raccontare il suo lungo viaggio subito dopo la guerra di Troia.Quando finì di raccontare la sua storia tutti i Feaci restarono muti, in silenzio. Poi il re Alcìnoo promise ad Ulisse un equipaggio per il ritorno ad Itaca.
Ritornato a casa e lasciato addormentato sulle rive di Itaca dai Feaci con accanto ricchi doni, viene trasformato da Atena in un mendicante.
Svegliatosi, si reca alla capanna di quello che fu il suo fedele servitore, Eumeno, che in un primo momento non lo riconosce e che si lamenta del comportamento dei Proci, della loro potenza e di come insidiassero la povera Penelope.
Quando spiega chi é, chiede di incontrare suo figlio Telemaco nella capanna e con lui escogita la vendetta.
Sempre in veste di mendicante, si reca a palazzo, il suo cane Argo lo riconosce, ma muore subito dopo. Anche la nutrice capisce chi è , ma viene pregata di tacere. Percosso ed insultato dai Proci, riesce ad avvicinarsi a Penelope ed a parlarle, ma lei continua a non capire. Durante la sua assenza, aveva tenuto a bada i Proci, promettendo loro che, finito di tessere un tappeto per il suocero, avrebbe scelto il suo sposo. Ma di giorno tesseva e di notte sfilava ciò che aveva tessuto. Ad un certo punto Penelope chiede ai presenti di fare una gara: chi fosse riuscito a tendere l’arco di quello che fu suo marito e avesse fatto passare la freccia attraverso gli anelli di dodici scuri, avrebbe ottenuto la sua mano. Non ci riuscì nessuno, eccetto il mendicante. Tutti in quel momento capirono che di fronte avevano Ulisse! Con un cenno a suo figlio l’astuto guerriero fece chiudere le porte. Nessuno doveva uscire da lì. Aiutato dal suo fedele servitore e da un pastore (Filezio) nonché da Telemaco stesso, Ulisse fa strage di tutti i pretendenti e di tutte le ancelle infedeli. Riprese le sue sembianze, con una Penelope ancora incredula, fu costretto a convincerla con il racconto di come aveva costruito il loro letto nuziale. Si reca in seguito dal padre ormai disperato del suo non ritorno e va ad abbracciarlo. Si scontra con parte del popolo perché istigato dai parenti dei Proci, ma l’intervento divino di Atena, mette pace tra lui e la sua gente. Ulisse nella letteratura italiana. Nel Medioevo Dante nella Divina Commedia, lo colloca nell’Inferno tra i consiglieri di frode e ne evidenzia le qualità di conoscenza.Ugo Foscolo riprende la sua figura nei due componimenti ‘ A Zacinto’ e nei ‘ Sepolcri’.Giovanni Pascoli ha dedicato ad Ulisse più di un componimento ‘Il Ritorno’ di ‘Odi ed Inni’ e ‘L’ultimo viaggio’ nella raccolta dei ‘ Poemi Conviviali’.D’Annunzio lo ricorda nel libro delle ‘Laudi’ in ‘Maia o Lode della Vita’.Gozzano ne ‘L’Ipotesi’.Ungaretti ne ‘L’allegria dei naufragi’.Saba in ‘Storia e cronistoria del Canzoniere’.Joyce riduce l’avventura di Ulisse in un solo giorno in chiave ultramoderna ne ‘Un giorno che è la vita’.Tantissime le versioni cinematografiche, italiane e straniere.Ulisse ha anche ispirato cantautori come Lucio Dalla.Itaca.Capitano
Che hai negli occhi
Il tuo nobile destino
Pensi mai al marinaio
A cui manca pane e vino?
Capitano
Che hai trovato
Principesse in ogni porto
Pensi mai al rematore
Che sua moglie crede morto?
Itaca, Itaca, Itaca
La mia casa ce l’ho solo là
Itaca, Itaca, Itaca
Ed a casa io voglio tornare
Dal mare
Dal mare
Dal mare
Capitano
Le tue colpe
pago anche io coi giorni miei
mentre il mio più gran peccato
fa sorridere gli dei
e se muori è un re che muore
la tua casa avrà un erede
quando io non torno a casa
entran dentro pane e sete
Capitano che risolvi
Con l’astuzia ogni avventura
Ti ricordi di un soldato
Che ogni volta ha più paura?
Ma anche la paura in fondo
Mi dà sempre un gusto strano
Se ci fosse ancora mondo
Sono pronto, dove andiamo. http://youtu.be/Xxk-j8YugkA
Che dire di più? Ah… sicuramente le donne tutte non resistevano al suo fascino. Lara Di Fonte