Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio – José Mourinho.
Così è scritto alla fine di ogni puntata della splendida serie di racconti dei mondiali di calcio che sta andando in onda, a cadenza settimanale, sui canali sportivi di Sky.
Il narratore, eccelso, un po’ ego riflesso, ma squisito e universale è Federico Buffa, uomo che sa raccontare il calcio per quello che è: il mondo e la storia. E la politica.
Perché, come sa bene il famoso allenatore portoghese di cui si riporta la frase in esergo, il calcio è qualcosa che va al di là di una semplice partita su un prato verde, un moviolone e quattro o cinque pirla che si fomentano a vicenda davanti ad un cialtronesco moderatore pel di carota.
Il calcio, in paesi come l’Italia, in Latino-America (ci fu una guerra, storicamente definita Guerra del Calcio, combattuta tra Honduras e El Salvador), nelle economie emergenti, e in altri spaccati poco noti ma altrettanto esemplificativi, è sotto gli occhi della politica prima che essere ammirato dai tanti bambini che sognano un giorno di diventare come CR7.
Fu veicolo di consenso in innumerevoli dittature della storia del Novecento: nell’Italia del Duce, nell’Argentina del massacro dei desaparecidos, nel Brasile militare, nella Spagna di Franco, nella lande musulmane di dittatori ed emiri. Tutti, ma proprio tutti, hanno visto nel calcio un costume politico da cucire, modellare a seconda dell’ambiente, controllare per il consenso elettorale. In sostanza, servirsi di questo efficace soft power per eccitare le folle e iniettare il siero dell’amnesia nei cervelli.Il recente caso di Genny ‘a carogna che acconsente all’entrata dei leoni nell’Arena è il rilievo iconoclasta dell’Ignoranza al Potere. Genny davanti alla Digos, Genny al cospetto della seconda e quarta carica dello Stato – Grasso e Renzi -, Genny di fronte alla presidente della commissione Antimafia Rosi Bindi: il segno da antologia delle pene istituzionali del Paese.
Più incisiva di un apologo morale, la storia di questo guappo, figlio di camorrista, che impartisce ordini allo stadio, al prefetto e al questore, in faccia alla presidente Bindi, rappresentante eletta nell’urna (seppur porcellescamente) e incaricata di essere, in loro vece, il baluardo dei cittadini contro le mafie. L’antimafia dei cittadini ridotta a figurina da stadio (la Bindi) e surclassata, in tutto per tutto, dal prodotto (Genny) così reale e potente di una delle mafie più terribili del mondo: la camorra campana.
Tuttavia, come dice José, chi sa solo di calcio non sa niente di calcio.
Sarebbe riduttivo ascrivere quanto accaduto a un fatto di violenza negli stadi, dettato da sordidi motivi di scontri tra tifosi – indelebile la battuta del comico Pozzetto che per placare un violento litigio, con aria sconsolata, diceva: “Basta con la violenza negli stadi!”.
Il quadro è indubbiamente più complesso. Entrano in gioco interessi economici, legali e illegali, ideologie politiche mai sopite e vive, pacchetti di voti e polvere da sparo, flussi di droghe e biglietti allo stadio. E, poi, una dimensione sociale e umana che ha direttamente a che fare con il significato profondo dell’essere vivente, il sentimento biblico e arcaico della vendetta, la violenza come motore dell’esistenza. Ci si riunisce in branco per la paura dell’indifferenza, si entra nei dannati circoli dell’odio perché da soli non si è niente. Se, poi, accanto a questo si può fare un po’ di business, essere un ultrà non guasta. Anzi, arricchisce.
È chiaro a tutti che le tifoserie organizzate, proprio perché organizzate, hanno bisogno di vertici, caporali e soldati. Costituiscono struttura,
una comunità di uomini che necessita di soldi per la propria organizzazione, lucro per i propri interessi, leggi e codici per relazionarsi con altre tifoserie organizzate. Non è un caso che nelle primavere arabe, specialmente in Egitto, e nel caos ucraino, le tifoserie delle squadre di calcio abbiano avuto e hanno un ruolo militare. Un’organizzazione fa sempre comodo al potere, dallo sbarco degli americani in Sicilia in poi.La curva alla domenica diventa l’ultimo dettaglio di un affresco di malavita, estremismo ideologico e affari economici.
Gli ultrà organizzano le trasferte, guadagnano con il merchandising para-legale e illegale, possiedono una golden share sui biglietti, finanche le scelte della società riguardo a infrastrutture sportive e giocatori da includere o escludere. Nel sottobosco, poi, arrotondano con la vendita di erba, cocaina e qualche pastiglia.
Sono un elemento delle società di calcio, fanno parte dell’organigramma di una società; accanto al direttore sportivo, l’amministratore delegato, il magazziniere, il presidente, l’addetto alla comunicazione ecc., ci sono loro. Gli ultrà. Devono essere interpellati, ascoltati, il loro beneplacito vale quanto il mugugno di una stella o il volere di un azionista. E questo, soprattutto, nelle serie minori non troppo conosciute mediaticamente ma seguitissime nei campanili delle migliaia di comuni e realtà che compongono lo Stivale.
Pochi mesi fa è venuto fuori che i giocatori del Nocerina erano completamente in balia delle volontà degli ultrà. Il procuratore della Repubblica di Salerno e il Questore hanno parlato di giocatori terrorizzati, allarme sociale. Niente di tutto ciò: è il calcio. E chi sa solo di calcio non sa niente di calcio.
Se minacciano è perché sono stati abituati, se i giocatori obbediscono è perché accanto ai soldi, le macchine à la page, le femmine perfette da calendario, sanno che uno dei codici è “primum vivere” nonostante e grazie ai tifosi.
I tifosi comandano, i giocatori eseguono, le società di calcio mediano o soccombono, i partiti si danno da fare. Un’ovazione allo stadio vale qualche migliaio di voti.
Un tempo, Gianni Brera definiva i presidenti come “ricchi scemi”. Imprenditori con villa a Portofino che in nome di una passione compravano il sogno. La squadra per cui tifavano da bambini.Da almeno un trentennio, invece, le squadre di calcio sono diventate vetrina per fulgide e improvvise notorietà mediatiche. Compro una squadra di calcio per avere più visibilità (da cui scaturisce il potere) nel mio ambito (che può essere politico o economico-finanziario).
Negli anni, soprattutto in Italia, si sono viste numerose entrate in scena calcistica di bancarottieri di lungo corso (Cecchi Gori) o mordi e fuggi (Ermanno Pieroni dell’Ancona). Tutti con interessi economici e amicizie politiche.
A cavallo dei Novanta e degli Zero, la serie A era dominata dalle sette sorelle – le tre del nord, le due romane, Parma e Fiorentina. A parte le tre del nord, supportate da famiglie radicate nel tessuto economico e istituzionale italiano, le altre quattro sono finite male. Fallimenti, scandali, trucchi di bilancio. In seguito ci fu la speranza di bonifica di Calciopoli, tramutatasi ben presto in coito interrotto. La domanda è conseguente: potevano vertici marci gestire il fenomeno degli ultrà? La risposta è ovvia quanto il risultato di Real Madrid-Lumezzane.
Quando Dino Viola decise di vendere la Roma, l’acquisto dei lupi giallorossi fu ordinato da Andreotti che obbligò Ciarrapico, il Ciarra, a farsene carico. Ciarrapico, all’epoca, era un imprenditore con forti interessi in svariati campi e da sempre agganciato alla Roma e alla Ciociaria democristiane, andreottiane, massoniche, mafiose. Imprenditore non per meriti ma per appartenenza politica. La politica controlla il calcio, lo usa, e gli va a genio il mondo ultrà.
Cass Pennant
Gli ultrà sono gli idealtipi di ogni partito: politicamente malleabili in cambio di un interesse, e sprovveduti intellettualmente (accecati per lo più da ideologie riciclabili) per scegliere nell’urna. Il sogno della politica a caccia di voti. Elettori blanditi coi circenses, noncuranti della complessità delle scelte politiche che ricadono sulle loro teste.
Diventati una categoria (non solo in Italia), gli ultrà sono al pari di un’associazione di imprese, un sindacato, un tassello della società civile. Fanno parte, e i politici lo sanno molto bene, di uno di quegli incontri che chi vuole farsi eleggere deve mettere in agenda. Al pari di una visita ad un convegno della Compagnia delle Opere o una capatina al Forum Ambrosetti.
Solo qualche settimana fa, un gruppo di parlamentari di ogni schiera e colore (dal PD al M5S passando per UDC, Forza Italia e NCD ecc.) hanno incontrato una delegazione di ultrà di ogni risma e fedina penale – dai bergamaschi ai napoletani (c’era anche Mantice, il guappo che sedeva a fianco di Genny allo stadio Olimpico) – per discutere di regole da mettere in atto per prevenire la violenza negli stadi.
Come se la Thatcher avesse concertato la legge contro gli hooligan con Carol Cass Pennant, capo della Inter City Firm, i terribili hooligan del West Ham a cavallo trai i Settanta e gli Ottanta del secolo breve.