Ero convinto di andare a vedere una boiata pazzesca, anzi volevo che il film fosse una boiata pazzesca perché a volte vado a cinema apposta per vedere dei filmacci, americanate, cose del genere. Perché lo faccio non lo so, credo per relax oppure perché ogni tanto ho bisogno di alimentare la parte più terra terra di me. Quindi, mi siedo e le scene inziali sono scene di scazzottamenti. E vai, sono nel posto giusto. Poi, in un attimo, umanità. Nel senso di scene di umanità, scene pietose – la pietas, no? – scene e dialoghi di compassione per il povero piccolo Adonis Creed che, abbandonato da un padre che non ha mai conosciuto, la madre morta, finisce per diventare un bambino violento. Il senso dell’abbandono penso sia la leva più bastarda a cui un regista o uno sceneggiatore può far ricorso per ammorbidire il pubblico, soprattutto se si tratta di bambini. E su di me, che non sono mai stato abbandonato da nessuno (ci tengo a dirlo), fa sempre e comunque effetto. Ma questa volta un po’ di più. Mi sarò rincoglionito. Quindi, umanità e cazzotti per tutto il resto del film. Poi c’è l’accoglienza e la salvezza. Da quel momento il piccolo Creed cresce nel lusso, diventa grande, fa carriera, ma ha un animo tormentato e ben presto si trova insoddisfatto; così incomincia la sua ricerca interiore, di sé e del padre, il percorso iniziatico che parte dai peggio postacci al confine col Messico, dove va a fare a botte in incontri di serie B, ma non per questo meno cruenti, e che lo porterà fino a Liverpool. Mi fermo qui con la storia anche se non ci sono grandi colpi di scena (neanche su come era finito il terzo incontro tra Rocky e Apollo). La trama è telefonatissima ed è giusto che sia così. È bella proprio perché è prevedibile. E prevedibilmente, nel corso di tutto il film vengono ripercorsi fisicamente gli ambienti, le strade, i quartieri e i vicoli del primo grande Rocky. Una Philadelphia immutata, come ti aspetti che sia, in cui tutto è così sfacciatamente evocativo, anzi celebrativo, che va al di sopra di ogni possibile aspettativa. E la cosa funziona.
Ha funzionato su di me come immagino funzionerà su tutti quelli che hanno adorato i primi quattro Rocky (magari escluso il terzo che è una boiata vera). Rievocazione e non riesumazione. L’unico personaggio che viene fisicamente riesumato è il gommosissimo Sly, la cui faccia è diventata un qualcosa di assurdo. La moglie di Apollo questa volta è impersonata dalla signora Robinson, ex gnoccolona che oggi manifesta opportunamente i segni dell’età che chissà quali soprusi ha dovuto tollerare da Cosby in passato, pora donna. Non ci sono superuomini (IV), anzi gli avversari sono parecchio improbabili, Jordan invece è credibilissimo, ha un fisico pazzesco (le abilità recitative assumono un’importanza molto relativa). Non ci sono vincitori né vinti, come da solida tradizione rockyana. Si ripercorre il mito dei personaggi: a più riprese sono nominati Paulie, Tony e Mickey. Si ripercorre anche il destino dei personaggi (Balboa-Mikey, Adonis-Balboa) ma tutto resta in sospeso. Si ripercorrono i luoghi: la prima palestra, la casa di Rocky, la stanza di Paulie, la famosissima scalinata. Menzione di onore per chi ha curato gli aspetti tecnici della boxe, gli allenamenti, gli schemi, l’attacco e la difesa, è tutto assolutamente realistico. Per non parlare della qualità delle riprese sul ring: una cosa mai vista. La faccia di Stallone, si diceva, è diventata una specie di mamuthone sardo ma riesce comunque ad esprimere umanità. Ci sono momenti toccanti. A me è scesa pure la lacrimuccia. Che vi devo dire, mi sarò rincoglionito. Insomma, uno spin-off che è una grande celebrazione di un film mitologico della nostra giovinezza. (Charles)