Umberto vicaretti ospite della rubrica di poesia

Da Lindapinta

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

Umberto Vicaretti, laureato in filosofia, nato nel 1943 a Luco de Marsi (AQ )doveè direttore didattico dell'Istituto comprensivo e Scuola media "Ignazio Silone".Scrive versi fin dal liceo. Discreto e riservato. Solo da qualche anno partecipa a concorsi di poesia, dove ha conseguito  molteplici e prestigiosi riconosciment. Ricordiamo: "S. Domenichino"; "Firenze Europa­Mario Conti"; "Pietro Borgognoni"; "Il Litorale"; "Aeclanum"; "Cinque Terre", " Guido Gozzano, etc.
Presente nelle rassegne della collana "L'altro Novecento":La poesia etico-civile in Italia(Bastogi, 1997);La poesia centro-meridionnle e insulare(Bastogi, 1999), curate da Vittoriano Esposito;è presente nel prestigioso Documento Storico realizzato e curato da Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo: L'Evoluzione delle forme poetiche (Kairos, 2013).

Tenacemente avvinto al girasole  

 

  

 

Fu il torchio a dare al nettare misura

e il gusto dolceamaro

dei giorni consumati. 

Ecco perché scordai quasi del tutto le conchiglie, i papaveri l’erba il novilunio, ma non potei scordare la partenza per lontane stazioni di mio padre (per gioco non rispose al mio saluto), né il ritorno dai campi di mia madre, stremata di fatica e di coraggio. Lo so che pure il petalo (e perfino l’oro del grano) ha vuoti di memoria; ma Isacco non potrà dimenticare il suo martirio, che non fu promessa di supplizio, ma il Dio lungamente indifferente alla sua pena.   Ed io, ostaggio consegnato al nuovo giorno, anch’io, tradito, sconto la mia croce, tenacemente avvinto al girasole, e invano aspetto il polline nel vento che insemini i miei grani d’utopia. Già incombe un’altra notte, con le rotte insensate della luna e stelle intente all’ultima impostura. Domani corpi accatastati e inerti intralceranno il solito week-end. Ci chiama l’alba a recitare un altro assurdo e insano gioco delle parti.

  

Uccello migratore perso al vento
La notte distilla silenzi e attese, a guado, inquiete, tornano memorie. Sul quadrante dell’orologio a muro lente salpano le ore verso l’alba, naufraghe al sogno di cobalto e luce. Qui, tra pareti assorte e stupefatte, come il ragno immemore e tenace anch’io fallaci reti tendo ai sogni e aspetto.    Disdicono le farfalle gli abbracci che promisero ai rosai,   e inesorabilmente il tempo sfalda certezze e accordi, calici corrompe. Il giorno sarà sangue e lunghi artigli, luce decomposta, disarmonia che lacera presepi e redenzioni. Ahi! fiumi, messaggeri della Terra, dov’è ora l’Eden, e perché scolora l’azzurro delle vostre vene in minio? Bruciano le città del mondo e alti crepitano fuochi e ampolle d’odio. Già s’invera il presagio della notte ed io ritrovo intatta la mia pena, uccello migratore perso al vento, straniero ai cieli ed alle rotte amiche. Invano cerco approdi oltre le nebbie e ignoti e incerti séguito orizzonti. Confusamente stretto alla mia resa, smarriti viaggiatori insieme andiamo. E non sappiamo,   non sappiamo dove.

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