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Un’alternativa sostenibile?

Da Femminileplurale

Lo scorso 22 Aprile si è votato in Francia per il primo turno delle elezioni presidenziali. L’esito del voto ha confermato una tendenza che si era già osservata in quasi tutti i paesi dell’unione europea, ed è classica dei momenti nei quali si attraversa una grande crisi economica. Chiunque sia al governo subisce, a livello elettorale, le conseguenze politiche di un malcontento che si diffonde trasversalmente nei vari strati della società, principalmente in quelli più esposti alle difficoltà di cui la crisi è causa. In questo senso, non stupisce che Hollande (28,63%) abbia ricevuto un numero maggiore di preferenze rispetto al suo diretto avversario, il presidente uscente Sarkozy (27,18%).

Un’alternativa sostenibile?

Questo dato, a suo modo storico, è stato tuttavia oscurato dal successo, tanto ampio quanto inaspettato, del Front National, partito politico di destra fondato da Jean-Marie Le Pen nel 1972: la candidata alle presidenziali di quest’anno, la figlia Marine Le Pen, ha infatti raccolto il 17,9%, presentandosi prepotentemente come terza forza politica nel panorama francese. Quello che da alcuni è stato descritto come un voto “di protesta” o, addirittura, come ennesimo esempio della cosiddetta tendenza all’ ”antipolitica”, è in realtà un evento assolutamente politico, che come tale deve essere analizzato. Il Fronte Nazionale del 2012, infatti, non è più quello del padre, marcatamente antisemita, xenofobo e razzista. Marie Le Pen è stata molto abile, in questi ultimi mesi, a far proprio il malcontento delle fasce meno abbienti della popolazione, affiancando le nuove tendenze della destra estrema europea a vecchi cavalli di battaglia tipici dei movimenti nazionalisti tradizionali. Il suo punto di vista è che la crisi possa essere affrontata dalle diverse nazioni in modo autonomo, senza l’ingombrante presenza dell’Unione Europea, vista come un nemico dal quale è necessario discostarsi, pena la caduta. In questo senso, il Fronte Nazionale è totalmente ostile a quell’asse Parigi-Berlino che si è proposta come unica potenza, a livello europeo, abbastanza forte da poter imporre una linea comune, che i vari paesi avrebbero dovuto successivamente adottare. A questa visione globale si affianca una aperta ostilità nei confronti dell’immigrazione, soprattutto quella africana e musulmana. Dare agli immigrati la colpa della carenza di posti di lavoro, accusandoli al tempo stesso di parassitismo nei confronti del sistema di aiuto sociale nazionale, è un vecchio clichè di ogni partito di destra estrema, ed occore constatare che, purtroppo, esso ha ancora una grande attrattiva nei confronti di ampie parti della popolazione. Non c’è niente di inspiegabile nel grande risultato di Le Pen al primo turno delle presidenziali: si conferma che, nei momenti di crisi, le componenti della società che si trovano in difficoltà tendono ad andare a destra. Questo ritorno dello storico nazionalismo francese potrà portare ad un ribaltamento dell’esito del primo turno? Io non credo.

Un’alternativa sostenibile?

Non solo per i sondaggi, che danno Hollande in vantaggio di circa 5 punti (ma sono gli stessi che non hanno saputo anticipare il successo di Le Pen), e nemmeno per la storia recente della Francia, che ci racconta di come gli elettori della destra gollista non abbiano mai potuto soffrire i loro “cugini” estremisti del Front National, e viceversa. Il fatto è che quei 6 milioni circa di francesi hanno votato contro l’Europa, contro la soluzione della crisi intesa in senso europeo. Perchè mai, a distanza di poche settimane, dovrebbero votare colui il quale è stato il paladino di una simile prassi? Secondo me vincerà Hollande (sarebbe la prima volta in 30 anni che un presidente uscente non viene rieletto). Oltre all’appoggio esplicito dei comunisti di Mélenchon e dei Verdi di Joly, egli vanta una posizione che, a mio parere, è ampiamente condivisibile. Egli afferma di essere contrario al pacchetto di riforme così come è stato pensato da Merkel-Sarkozy, che non voterebbe. Pur restando in una posizione europeista, egli nega l’ineluttabilità di quelle riforme che l’Europa ha imposto, e propone un piano di salvataggio alternativo, che non si abbatta indiscriminatamente sui pensionati, sui lavoratori e, in generale, sui meno abbienti, lasciando al tempo stesso intatto il mondo finanziario.

Senza voler assumere toni messianici, vorrei affermare che, a mio parere, il destino dell’idea di Hollande sarà il destino dell’Europa: fermo restando che le misure adottate finora non sono eque e non hanno scacciato il timore, il quale affonda i mercati ad ogni minimo schricchiolio del sistema, rimane un’incognita l’effettiva fattibilità di una soluzione della crisi che sia, diciamo, “sostenibile”. Se questa dovesse fallire, ammesso e non concesso che Hollande abbia la possibilità di compiere un tentativo, il futuro politico dell’Europa non può che apparire sempre più nero.

Fonte dei dati: Ministère de l’intérieur francese


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