E’ la drammatica storia raccontata da Charlie Rogers alla polizia di Lincoln (Nebraska), durante lo scorso agosto. Tre uomini mascherati si sarebbero introdotti in casa, l’avrebbero legata e con della vernice spray avrebbero scritto parole offensive sui muri della sua residenza. Questa versione, ricca di dettagli brutali, è stata esposta dalla presunta vittima agli inquirenti; e non solo. Anche i media infatti hanno presto fatto rimbalzare il terribile caso dal web alle Tv, suscitando anche l’attenzione della politica e della chiesa. Una manifestazione di solidarietà organizzata dalle associazioni LGBT ha raccolto circa $ 1.800, subito depositati in un conto bancario per Rogers. Anche la Plymouth Congregational Church ha tenuto un evento in suo onore. La città si è stretta intorno alla richiesta di un provvedimento per i diritti dei gay.
Peccato che l’episodio di omofobia si sia rivelato ancora una volta del tutto inventato, ideato dalla stessa protagonista per accendere i riflettori sull’argomento. Nei quattro interrogatori sostenuti dalla finta vittima, infatti, le versioni presentate si sono dimostrate contrastanti, elementi sempre diversi si aggiungevano alle descrizioni e il letto su cui la donna diceva di aver subito violenze non presentava alcun segno di lotta. La polizia ha dunque cominciato ad insospettirsi, ancor più nello scoprire questo post sulla pagina facebook di Rogers, risalente a quattro giorni prima della presunta aggressione: «Forse sono troppo idealista, ma credo che così saremo in grado di rendere le cose migliori per tutti. Sarò un catalizzatore. Farò quello che ci vuole. Lo farò». Una dichiarazione che ha trovato conferma nei fatti fintamente raccontati dalla donna omosessuale che hanno vanamente impiegato l’FBI in una quantità esorbitante di tempo e di risorse umane. La donna è stata arrestata nei giorni scorsi.
Un caso simile è avvenuto poco tempo fa con Joseph Baken, il quale ha dichiarato di essere stato picchiato per il suo 22esimo compleanno in quanto omosessuale. La polizia ha invece scoperto invece che aveva semplicemente sbattuto la faccia a terra in seguito ad una acrobazia mal riuscita. Ancora, all’inizio di quest’anno, il Central Connecticut State University ha tenuto una “manifestazione di solidarietà” per conto di Alexandra Pennell, una lesbica presumibilmente perseguitata. Poi si è scoperto che era lei stessa ad inviarsi le missive minatorie. Nel maggio scorso, una coppia di lesbiche ha denunciato alla polizia di aver trovato la scritta “Kill the Gay” sul loro garage, con tanto di corda da impiccagione. I funzionari di polizia hanno accertato che anche in questo caso erano state le due donne ad aver inscenato gli incidenti.
In America la violenza contro gli omosessuali, quella vera, sembra essere fortunatamente in leggera diminuzione (almeno nelle scuole). Il Congresso americano, inoltre, ha già approvato una legge contro l’omofobia. Qual’è dunque il vero interesse a realizzare queste messe in scena?