Chi non riesce a trasmettere un senso “proprio” a ciò che fa non desidera altro che trovare una giustificazione che appaghi questa sua insensatezza. E la trova spesso, senza fare nemmeno lo sforzo di cercarla, nelle illusioni collettive. Le sole che gli permettano di obliare nella chiassosa comunità di “noi” il vuoto determinato dall’”io” mancante (parimenti a quel che avviene razionalmente per il punto nella geometria: egli è l’ente geometrico più elementare, costituente ogni altro ente esteso, superiore, spazio privo di estensione. Solo dall’addizione con altri punti adiacenti può quindi darsi una forma consistente, sorreggendosi ad altri non esseri suoi pari. La somma d’infiniti individui zero costituisce quest’uomo inconsistente. Egli riesce ad essere, ad avere una forma, solo quando è in gruppo).
E’ bizzarro, ma la società probabilmente più spiccatamente individualistica che la storia dell’uomo abbia conosciuto, pare essere incapace di mettere al centro delle proprie preoccupazioni proprio l’individuo. E’ tutta una cagnara di “noi”, di gruppi, di “beni comuni”, di collettività a cui si “deve” incondizionata ubbidienza e miope dedizione, come ad esempio le “ultime” trovate per rendere questa dipendenza persino utile, proficua, produttiva, tra cui quella ormai classica è il lavoro di squadra, il team working.
![Un’altra religione: il team working. Un’altra religione: il team working.](http://m2.paperblog.com/i/251/2513019/unaltra-religione-il-team-working-L-yFG9BB.jpeg)