Nondimeno, fino ad ora non ho citato tutte le fonti relative al bellum neapolitanum, lasciando per questi ultimi post alcune tra le più importanti.
Eh già, “ultimi post”: sto giungendo al termine degli argomenti che potrò trattare senza scadere nel vuoto dei contenuti, e sono certo che ciò non lo desidera nessuno.
Ma per ora quel giorno è ancora di là da venire, ho superato i quattrocento lettori, ho ancora alcuni argomenti tra i più importanti da toccare, e quindi senza indugio procedo ad illustrarvi la testimonianza sul bellum neapolitanum di un altro grande della storia antica: Dionigi d'Alicarnasso, in Antichità Romane XV 5-6:
… ma anche perché essi (i Neapolitani) stavano infliggendo molte gravi ferite ai loro amici i Campani.Nomos tarantino datato intorno al 332 a.C.
Il senato Romano, quando i Campani gli mossero ripetute proteste contro i Neapolitani, votò per mandare ambasciatori ai secondi per chiedere che essi non dovessero fare alcun male ai soggetti dell'imperium di Roma, ma avrebbero dovuto dare e ricevere giustizia, e se avessero avuto alcuna divergenza l'uno con l'altro, avrebbero dovuto appianarla
non mediante le armi ma mediante la discussione, dopo aver prima siglato una tregua con essi; e che per il futuro essi avrebbero dovuto restare in pace con tutti i popoli che dimoravano lungo il mar Tyrrheno, né commettendo da soli atti che non erano degni dei Greci né assistendo altri che così facevano; ma in particolare, gli inviati, se avessero potuto così fare conquistando il favore degli uomini influenti, avrebbero dovuto condurre la città a ribellarsi ai Sanniti e diventare amichevole con i Romani.
Caso volle che in quello stesso tempo ambasciatori mandati dai Tarantini erano andati dai Neapolitani, uomini di nobili natali che avevano ereditato lacci di ospitalità con i Neapolitani; anche altri erano giunti, mandati dai Nolani, che erano loro vicini ed ammiravano grandemente i Greci, per chiedere ai Neapolitani al contrario di non stringere un accordo coi Romani o i loro soggetti né di abbandonare la loro amicizia coi Sanniti.Affresco di una tomba sannitica rinvenuta a Nola (non Paestum !), già facente parte della collezione del duca Carafa di Noja, oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Mostra il ritorno di guerrieri sanniti dalla battaglia. Fonte: Wikipedia.
Se i Romani avessero dovuto fare di questo il loro pretesto per la guerra, i Neapolitani non dovevano essere allarmati o terrorizzati dalla forza dei Romani credendo che fosse una forza invincibile, ma dovevano mantenere la loro posizione nobilmente e combattere come degni Greci, facendo affidamento tanto sul loro esercito quanto sui rinforzi che sarebbero giunti dai Sanniti e, oltre alla loro forza navale, esser certi di riceverne una grande ed eccellente che i Tarantini avrebbero inviato loro in caso essi ne avessero fatto richiesta.
6 - Quando il senato (la boulé Neapolitana) fu d'accordo e molti discorsi furono lì fatti sia dalle ambasciate che dai loro sostenitori, le opinioni dei membri erano divise, sebbene i più illuminati sembravano favorire la causa Romana.
In quel giorno, di conseguenza, non si ratificò alcun decreto preliminare ma la decisione riguardo alle ambascerie fu posposta ad un'altra sessione, durante la quale i più influenti dei Sanniti vennero in gran numero a Neapolis e, convincendo gli uomini alla guida dello stato mediante alcuni favori, persuasero la boulé a lasciare all'assemblea pubblica (l'ekklesia) la decisione riguardo i migliori interessi dello stato.
E facendo la loro comparsa dinanzi all'assemblea, essi prima dichiararono la loro carriera, poi mossero molte accuse contro lo stato Romano, accusandolo di essere infedele e traditore; ed alla fine del loro discorso essi fecero notevoli promesse ai Neapolitani se fossero entrati in guerra. Essi avrebbero mandato un esercito, annunciarono, grande quanto i Neapolitani avessero richiesto, per guardare le loro mura, ed avrebbero anche fornito marinai per le loro navi così come tutti i rematori, provvedendo a tutte le spese della guerra non solo per i loro propri eserciti, ma anche per gli altri.Dionigi d'Alicarnasso è uno storico non meno apprezzato di Tito Livio, ed i due erano coevi. Ciononostante, le loro versioni dei fatti sono divergenti su alcuni punti. In un prossimo post cercherò di analizzare quali sono i dettagli che mi hanno fatto ricostruire un'ulteriore versione dei fatti che è quella poi raccolta in Neapolis - Il Richiamo della Sirena.
Inoltre, quando i Neapolitani avessero respinto l'esercito Romano, essi avrebbero non solo recuperato Cuma per loro, che i Campani avevano occupato due generazioni prima dopo aver espulso i Cumani, ma avrebbero anche restituito i loro averi a coloro dei Cumani che ancora sopravvivevano - costoro, scacciati dalla loro città, erano stati ricevuti dai Neapolitani e resi partecipi delle loro proprie fortune - ed essi avrebbero anche garantito ai Neapolitani un po' della terra che i Campani detenevano, - la parte senza città.
Gli elementi tra i Neapolitani che erano ragionevoli e capaci di prevedere ben in anticipo le disgrazie che sarebbero cadute sulla città dalla guerra, desideravano rimanere in pace; ma l'elemento che era attratto dalle innovazioni e cercava di guadagnare vantaggi personali dalla confusione unì le forze per la guerra. Vi furono recriminazioni reciproche e schermaglie, e l'alterco fu condotto al punto di tirar pietre; alla fine il peggior elemento ebbe la meglio sul migliore, sicché gli ambasciatori dei Romani tornarono a casa senza aver ottenuto niente. Per queste ragioni il senato Romano risolse di mandare un esercito contro i Neapolitani.