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Un anno con Dylan Dog

Creato il 24 settembre 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

dyd_335dyd_335Perché proprio adesso?

A pensarci solamente due o tre anni fa, l’idea di rivedere in prospettiva la stagione editoriale di sarebbe parsa la fantasia autolesionistica di qualcuno che non aveva idee migliori su come passare il proprio tempo. Ogni istinto di conservazione si sarebbe opposto al pensiero di dover rileggere storie come L’odio non muore mai o I segni della fine in un tentativo disperato di disegnare qualche picco in un encefalogramma di pressoché totale piattezza, perché diciamocelo: a Craven Road si è respirata aria migliore in fatto di qualità e vivacità.

Quindi, alla domanda con cui siamo partiti la risposta è: perché qualcosa, dopo tanto tempo, sta cambiando.
Un anno fa è stato sostituito al vertice della redazione di Dylan Dog da Roberto Recchioni, uno sceneggiatore più famoso, più attivo e soprattutto molto più visibile grazie alla facilità con cui dialoga con la fanbase.
Il progetto del nuovo curatore è stato ampiamente anticipato ai lettori e se state leggendo questo approfondimento non avrete bisogno di sapere che con il numero #336 si è conclusa la Fase 1, durante la quale non ci sono stati sostanziali cambiamenti nella serie, ma modifiche per lo più estetiche e formali a delle storie scritte da tempo sotto la gestione Gualdoni.
La Fase 2, quando si comincerà a fare sul serio, inizierà il 26 settembre e questo ci pare il momento migliore per fare un primo bilancio del lavoro del nuovo team
.

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È stato un anno di cambiamenti per Dylan, dai più piccoli – il “lei” al posto del “voi” – ai più grandi – le copertine, evolutesi al punto da poter essere incorniciate e strapiene di citazioni dalla cultura pop (una su tutte: Django Unchained ne La paga dell’inferno).

Ed è proprio sul versante grafico che Recchioni ha puntato di più per la sua Fase 1: uno stuolo di nuovi disegnatori è stato annunciato per illustrare le copertine dei Maxi e dei Color Fest e anche sulla serie regolare si sono avvicendati tanti storici illustratori della prima ora e dei più recenti.
Lo stesso non si può dire per la sezione di scrittura, da cui emerge una rosa ancora ristretta di autori (su 12 numeri, 5 sono stati scritti da 2 sceneggiatori) che sfruttano – forse nell’ottica di richiamare l’attenzione dei lettori di lunga data – molte ambientazioni e situazioni già viste, ma con un linguaggio più moderno che non si fa il problema di usare, quando è il caso, un po’ di linguaggio violento più al passo coi tempi dei dialoghi spesso edulcorati delle annate precedenti.

Dylan ha meno spazio in queste nuove storie, che da un lato cercano di evitare lo schema classico caso-cliente-soluzione e inseriscono il personaggio direttamente nell’azione; dall’altro puntano sempre al coup de théatre finale riducendo l’importanza della caratterizzazione, anche se rapida. Iniziamo a vedere nel dettaglio questi dodici numeri di serie regolare, ricordandoci che quello che si è visto finora non è nient’altro che un teaser trailer di una nuova stagione che promette fuoco e fiamme.

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#325 Una nuova vita (Ambrosini)
Se state cercando, in sintonia con il titolo, una storia di grandi cambiamenti che coinvolgono da vicino Dylan vi conviene mettere via questo numero e aspettare: l’indagatore dell’incubo è solo uno strumento, e passa spesso in secondo piano rispetto alla complicata storia principale. Leggetelo senza aspettarvi niente e troverete un albo ben scritto, ben disegnato e avvincente, che riesce a disfare ottimamente un intreccio intricato ma perfettamente coerente. I titoli dei capitoli sono di incredibile inutilità e ogni tanto i dialoghi inciampano, ma sono cose che si perdonano quando il finale è affidato ad una bella riflessione sul diavolo.

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#326 Sulla pelle (Enna, Dall’Agnol)
La storia è semplice, e a metà albo il quadro della situazione è già chiaro; talmente chiaro che si perde rapidamente interesse. I disegni di Dall’Agnol – poco naturalistici ed irregolari – non sono per tutti i gusti, ma funzionali e con delle buone idee. Godibile, sicuramente non memorabile.

#327 I sonnambuli (Cavaletto, Dell’Uomo)
Una bella scena ambientata nella clinica del sonno risolleva in parte un numero in cui tanti muoiono ma nessuno cattura veramente l’attenzione. È una storia d’atmosfera, che vorrebbe poggiare tutto sulla trama, ma ne trova una troppo vacillante. Sul finale, una sfilza di domande in soliloquio sostituisce gli spiegoni di cui tanti si sono lamentati. Non è che questo sia molto più entusiasmante.

#328 Trash Island (Mignacco, Mari)
Testi e disegni sono curati da autori di tutto rispetto, ma la storia finisce per essere solo avventura orrorifica sciolta da un colpo di scena che non ha un briciolo di senso. Si salvano i dialoghi, sempre vivaci, e gli ottimi disegni. Per il resto, è tra gli albi meno convincenti dell’annata.

#329 …E lascia un bel cadavere (Di Gregorio, Freghieri)
Più che per la vicenda – godibile, ma orchestrata in maniera non impeccabile – questo è un albo da leggere soprattutto per vedere Freghieri che alterna un tratto onirico e spigoloso al suo segno classico e soffuso. Esperimento riuscitissimo che tiene il lettore attaccato alle pagine anche quando la trama perde qualche colpo.

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#330. La magnifica creatura (Marzano, Nizzoli)
Non è tanto che in alcuni numeri ci sia lo spiegone, quanto il fatto che in certi numeri ci stia proprio male. Qui, per esempio, tre pagine prima dell’ultima sono occupate dal resoconto di un’indagine che il lettore non ha visto ma di cui poteva fare tranquillamente a meno. L’ultima tavola, comunque, chiude in bellezza una storia originale e ben diretta, con il Dylan più tridimensionale di queste storie. Testi e disegni formano un connubio perfetto, il ritmo incalza senza affrettare un crescendo emotivo calibrato al millimetro.

#331 La morte non basta (Di Gregorio, Cestaro)
Dopo un inizio veramente tragico e potente, inizia una storia in cui ci sono mistero e sentimento a sufficienza per tenere incollato il naso alle pagine. Lo scioglimento ha il sapore di un deja-vu, ma di quelli piacevoli.

#332 Destinato alla terra (De Nardo, Dell’Uomo)
Dopo l’ottima prova del #327, Dell’Uomo qui non fa niente di speciale per una trama che non ha niente di speciale, e anzi è quasi identica ad una del Color FestIl mago degli affari – che già non era il massimo. La narrazione cerca di salvarsi a suon di flashback, ma il perno della storia è troppo debole perché l’espediente possa reggere.

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#333 I raminghi dell’autunno (Celoni)
Un albo importante con un numero importante (metà del numero-simbolo dell’Indagatore) La vicenda, ambiziosa e insolita, è disegnata più che bene e sciolta senza sbavature in un finale che lascia l’amaro in bocca. Dylan, stanco e depresso, vive letteralmente dentro l’incubo. Celoni si aggiudica il premio alla migliore storia dell’anno con facilità. Peccato per la copertina, letteralmente sommersa dalla CGI.

#334 La paga dell’inferno (Di Gregorio, Bigliardo)
Bigliardo si presta bene a disegnare un numero che sfrutta tutti i canoni delle storie ambientate all’inferno per creare una trama solida ed avvincente, pervasa di un’ironia amara che alle volte gela il sangue per quanto è attuale. Groucho esilarante.

#335 Il calvario (Gualdoni, Martinello)
C’è ancora spazio per il curatore uscente Giovanni Gualdoni, nonostante le numerose critiche alla sua gestione. Con una delle sue sceneggiature migliori, che pesca da storie classiche come Johnny Freak e Il sorriso dell’oscura signora, ma soprattutto dalla recente Mater Morbi, Gualdoni riesce a non scadere nella ripetizione e regala qualche brivido e delle riflessioni che non appaiono mai forzate. Martinello ai disegni si conferma un grande interprete del Dylan più fiaccato e stanco, ma sarebbe interessante vederlo alle prese con storie di tono diverso.

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#336 Brucia, strega… Brucia! (De Nardo, Ornigotti)
De Nardo non deve essere stato molto in forma, perché dopo una delle meno riuscite storie dell’annata – forse addirittura la peggiore – ne confeziona un’altra che non ha rivali nel definirsi la meno interessante. Lineare e senza grandi misteri, è una storia di poche pretese che scorre rapidamente senza lasciare niente di particolare al lettore. Anche copertina e disegni appaiono sotto la media, rispetto ad altri lavori che sono apparsi nei mesi precedenti.

Ma l’importanza di questa stagione editoriale va ben al di là dell’avere apprezzato o no le singole storie.
Per la prima volta da troppo tempo Dylan è tornato a vivere veri incubi e ad affrontare non più ‘cattivi’ generici ma il male vero e proprio, quello che dall’inizio della sua avventura editoriale aveva distinto la testata.
Sarebbe bello, nelle prossime uscite, vedere un indagatore dell’incubo più sensibile nei confronti di questa tematica e più profondo come personaggio, utilizzato non solo ai fini della trama; e anche, perché no, trovare ancora quelle venature di satira politica tanto azzeccate quanto agghiaccianti che hanno il pregio di riportare immediatamente il lettore coi piedi per terra durante la lettura. Un colpo di classe che non a tutti riesce.


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